Thank you for working
Riccardo de Caria 06:00 Venerdì 06 Gennaio 2012
Qualche anno fa, il film Thank you for smoking seppe descrivere con ironia le crociate anti-tabacco in voga negli Usa, finendo col trasmettere l'idea che in fondo il fumo, come tutti i vizi, è un atto di libertà. Che come tale gli adulti dovrebbero esser liberi di compiere, assumendosene la responsabilità, e fin tanto che non intossicano i polmoni altrui.
Come noto, la realtà è ben diversa: fumare una sigaretta - parola di non fumatore - è diventata quasi una sfida ai mille divieti e restrizioni che anche al di qua dell'Atlantico lo stato ci impone per il nostro bene. Eppure, divieti e restrizioni al fumarsi in pace una sigaretta sono nulla al confronto dei divieti e restrizioni che incontra chi quella sigaretta vorrebbe produrla: in questo caso, gli ostacoli a chi, come brutto vizio, ha solo quello di voler lavorare, diventano quasi insormontabili.
Ne sa qualcosa la Yesmoke, società di Settimo Torinese, la cui vicenda sta facendo molto discutere. La storia di Yesmoke viene da lontano. Nasce in Svizzera (le dogane italiane non si degnarono di rispondere...) da una ben studiata manovra logistico-fiscale, che sfruttava sapientemente i varchi normativi per riuscire a rivendere online a basso prezzo le sigarette delle multinazionali, contro la loro volontà, e finendo con lo scontrarsi con la loro reazione (basata in quel caso su argomenti non liquidabili alla svelta: di per sé, merita tutela la pretesa di un produttore, pur cattivone come Big Tobacco, di decidere il prezzo a cui vuole che i distributori vendano i suoi prodotti).
In ogni caso, Yesmoke diventa allora produttrice in Italia di sigarette e quindi concorrente delle multinazionali, e ottiene, nel giugno 2010, una netta vittoria in sede europea contro la legislazione italiana sul tabacco, rea di ostacolare la concorrenza, favorendo Big Tobacco a scapito dei nuovi entranti come Yesmoke (il governo Berlusconi, costretto a modificare la normativa in questione, cambiò l'ordine degli addendi mantenendo inalterato il risultato).
Non è la prima volta che leggi e prassi italiane in materia vengono condannate come anticoncorrenziali dal giudice europeo: già nel 2001 la famigerata AAMS, l'Amministrazione dei monopoli, si beccò una multa di 6 milioni di euro per abuso di posizione dominante, naturalmente a spese nostre. Ma anche la nostra Antitrust ha censurato le norme in materia di depositi fiscali, perché fonte di ingiustificati privilegi per i soggetti pubblici e i grandi operatori già sul mercato.
E proprio su queste norme (come sempre affastellatesi confusamente negli anni, basti vedere il sito dell'AAMS, peraltro aggiornato al 2005), in questi giorni si sta giocando una grossa battaglia tra la Yesmoke e i monopoli. Che, manco a dirlo, all'origine ha norme anti-impresa e mal scritte.
Il deposito fiscale è il meccanismo con cui il fisco tiene sotto controllo i produttori di sigarette e si assicura il versamento da parte loro delle accise sui tabacchi. Il problema sta nell'art. 5, comma 3 del Testo unico sulle imposte sulla produzione e i consumi, che nella parte che ci interessa stabilisce che il produttore è tenuto a prestare una cauzione parametrata all'imposta che dovrà versare: proprio così, non basta pagare le tasse, bisogna pure dare idonea (costosa) garanzia che le si pagherà.
Ma c'è di più: «Sono esonerate dall'obbligo di prestazione della cauzione le amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici» (una modifica del governo Prodicancellò dall'elenco - bontà sua - «le aziende municipalizzate»). È un gentile regalo che lo stato si fa, giusto perché - come nei noti spotproprio del Gratta e Vinci con bollino AAMS - gli piace vincere facile, ma che dovrebbe figurare sui manuali come esempio macroscopico di incostituzionalità (ma poi perché mai lo stato si ostina a immischiarsi in filtri e cartine?).
E ancora: «L'Amministrazione finanziaria ha facoltà di esonerare dal predetto obbligo le ditte affidabili e di notoria solvibilità». Questa dicitura vaga, lungi dal consentire un sensato margine di apprezzamento discrezionale, è in realtà una licenza di arbitrio: essa dà all'AAMS il potere di esonerare gli amici, o chi si può permettere di fare più pressione su di essa (la norma è un invito a nozze per lobbisti spregiudicati), e di mettere invece i bastoni tra le ruote a chi vorrebbe solo lavorare, investendo i soldi (due milioni e 400 mila euro!) che l'AAMS gli chiede per migliorare l'azienda, acquistare nuovi macchinari, e assumere nuovi dipendenti. Ma l'AAMS è irremovibile: finché Yesmoke non paga, la Guardia di Finanza non farà uscire dallo stabilimento una sola delle migliaia di sigarette che l'azienda e i suoi lavoratori, tutti uniti, continuano a produrre, pur senza vedere un soldo, l'azienda dai clienti, e i lavoratori di conseguenza dall'azienda.
La soluzione allora non sta nella deroga, invocata dai politici che si sono interessati alla vicenda, in primis Stefano Esposito del Pd: la deroga è solo una gentile concessione a Yesmoke che gli atti di bullismo dell'AAMS cesseranno: potrà entrare nel club e fare il suo mestiere anche lei. Ma la deroga per il caso specifico non cancella il generale potere di arbitrio in capo all'AAMS, che in futuro potrebbe tornare a esercitarlo contro la Yesmoke di domani. La soluzione sta proprio nella chiusura di enti come l'AAMS, residui di un passato mai rimpianto che continua a far pervenire i soliti regali ai soliti noti; sta in un fisco (e in una burocrazia) che non strangolino chi produce e fa concorrenza; e sta in un quadro giuridico chiaro, che non dia alla pubblica amministrazione il potere di fare il bello e il cattivo tempo con la vita delle imprese, ma lasci che sia la concorrenza, e non la capacità di "persuadere" il funzionario ministeriale di turno, a decidere chi sopravvive e chi no.
Cose inaudite.


