L’occasione fa l’uomo mafioso
Riccardo de Caria 06:00 Venerdì 30 Marzo 2012
Che le mafie esistessero e prosperassero anche al Nord, era cosa nota. Il Comune di Bardonecchia fu sciolto per mafia già nel 1995, l'inchiesta Minotauro ha svelato i legami tra alcuni politici locali e 'ndrangheta, e nei giorni scorsi, proprio a seguito di questa inchiesta, è arrivata l'ennesima conferma: lo scioglimento per 'ndrangheta del Comune di Leini. Come ha raccontato Lo Spiffero, poi, l'indagine Minotauro ha scoperchiato un quadro inquietante di collusioni e ingerenze anche a Rivarolo Canavese, cui potrebbe toccare la stessa sorte di Leini.
La politica ha sentito il bisogno di reagire al discredito gettato su tutta la categoria da queste mele marce, istituendo a Torino un'apposita commissione antimafia, e proponendone l'introduzione anche in Regione e in Provincia. Lo scopo è di avere uno strumento interno alle istituzioni che vigili a tempo pieno sui rischi di infiltrazione mafiosa nell'amministrazione, con particolare riferimento a settori come gli appalti pubblici, il business dei rifiuti, il gioco d'azzardo.
Sempre Lo Spiffero ha già espresso ieri alcune convincenti riserve sulla reale efficacia di questi strumenti, che rischiano di risolversi in tante parole e pochi fatti. In questa sede "ultraliberale", vorrei fare una domanda a monte: l'aumento del contrasto alle mafie tramite l'aumento dei controlli (più o meno efficaci), che è l'unica strada contemplata dalla politica, è proprio l'unica percorribile?
Niente affatto, se teniamo presente la gigantesca ipertrofia dell'apparato pubblico nel nostro Paese. In altre parole, il fatto che qualunque attività privata debba passare da una pesantissima interferenza politica (tra divieti, regolamentazione soffocante, carico fiscale e quant'altro) non è solo letale per l'economia ed esiziale per la libertà individuale: è anche un enorme barattolo di marmellata esposto alle mire di corruttori e mafiosi di ogni risma.
Chi ha reso il barattolo così grande, o addirittura pensa che le sue dimensioni debbano ancora crescere, come purtroppo gran parte dell'antimafia (schierata compatta per il sì ai referendum "sull'acqua", incredibilmente visti essi stessi come battaglia antimafia), non può che immaginare come soluzione obbligata l'aumento dei controlli su chi ha accesso al barattolo. Nella loro ottica, lo stato è buono, per cui ci va dell'altro stato per sorvegliare che resti buono e non s'inquini. Le sue dimensioni sono una variabile indipendente: più crescono (e più crescono, meglio è), e più debbono aumentare i controlli. Costi e difficoltà di un aumento dei controlli oltre una certa soglia passano in secondo piano, e anche il secolare problema di chi controlla i controllori viene trascurato.
Se invece provassimo per un attimo a immaginare uno stato ridotto al minimo, ci accorgeremmo che il problema dell'infiltrazione della mafia al suo interno si ridurrebbe in modo drastico. Se la quantità aberrante di potere concentrata nel leviatano statale cominciasse finalmente a disperdersi e a tornare alla società civile, verrebbe automaticamente meno molto dell'interesse dei mafiosi a mettere le mani sul barattolo di marmellata, non foss'altro che perché sparirebbe il barattolo. E lo stesso vale per i corruttori o per l'influenza di lobbisti senza scrupoli (così come gli avvocati, i lobbisti non sono di per sé nemici dell'interesse generale: possono difendere cause nobilissime).
Mafiosi, corruttori e lobbisti spregiudicati sono una risposta più che naturale ad un incentivo. Sono il tentativo di impadronirsi di un potere smisurato, quale è, sempre più, quello statale. Ora, il problema sta nell'esistenza stessa di un potere così grande. Questo potere non è neutro, come sembra credere il grosso dell'antimafia: non è uno strumento che può essere utilizzato per finalità buone, se solo vigiliamo a sufficienza, o cattive, se vi si infiltrano i mafiosi. Quel potere dell'uomo sull'uomo, che fa gola ai mafiosi, è cattivo di per sé.
È cattivo perché stritola la nostra libertà e ci rende tutti più poveri: quando la politica si arroga il diritto di decidere che su un terreno si può costruire e su quello del vicino no, o che un'attività pur socialmente delicata come il gioco d'azzardo necessita della sua autorizzazione; quando prosciuga la ricchezza privata per bandire appalti pubblici, o gestire i rifiuti; quando monopolizza un mare di attività, dalla sanità all'istruzione, e quelle che non monopolizza le scoraggia con ostacoli burocratici di ogni tipo; quando fa tutte queste cose, sta già facendo male, anche se non se ne impadroniscono i mafiosi. Fa male perché annulla i benefici della concorrenza; uccide lo spirito d'iniziativa, vera fonte di progresso; sottrae ricchezza a chi l'ha prodotta, incentivandolo a non produrne più; spazza via le reti private di solidarietà e assistenza che storicamente hanno avuto una loro importanza e che oggi sono state completamente marginalizzate. E per giunta, è proprio questo potere a fornire tante, ma tante, ma proprio tante occasioni d'oro a mafia, corruzione, affarismo.
Perciò, se abbiamo (giustamente!) in odio la prevaricazione e la violenza delle mafie, per combatterle non illudiamoci che la soluzione stia nel potere statale, che ne è anzi la precondizione e l'alimento (vedi i miliardi che dovevano servire allo sviluppo del Mezzogiorno), e a dire il vero troppo spesso ne imita perfino i metodi e i modi; e talvolta fa addirittura peggio, se pur in modo inconsapevole: è il caso di imprenditori come Ignazio Cutrò, che non si sono piegati alle mafie ma rischiano ora di soccombere sotto i colpi di Inps e Agenzia delle Entrate, o come i tanti che purtroppo si stanno togliendo la vita perché schiacciati da tasse e burocrazia. Affidiamoci piuttosto alla frammentazione del potere, alla libertà e al mercato, che contrariamente all'interpretazione che ne dà Saviano in Gomorra, sono l'unico vero antidoto contro ogni violenza, sia essa perpetrata dalle mafie, o da uno stato che se ne fa weberianamente monopolista.
Cose inaudite.