Piemonte (e Torino) al palo “Mancano leader e idee”
Stefano Rizzi 08:00 Giovedì 14 Settembre 2017 4Impietosa analisi di Berta sullo stato economico e politico di regione e capoluogo. “Viviamo in una beata e beota indifferenza” e pure l'establishment è senza bussola e ormai ininfluente. “Non ci sono soggetti e forze in grado di coagulare persone e progetti”
“L’Alleanza per Torino nacque da un gruppo di lavoro che Enrico Salza aveva costituito e che produsse un documento sul cambiamento della città. La dimensione era quella metropolitana e c’erano ancora dei centri di potere, detto in senso positivo. Oggi non vedo né un nuovo Salza né quelle articolazioni e quegli interessi organizzati in grado di configurare una strategia come quella di allora, tanto più non per la città, ma addirittura per la regione”.
L’ipotesi di una via civica per una nuovo governo della Regione Piemonte, a partire dal candidato presidente, come quella cui stanno ragionando ambienti dell’imprenditoria e della cosiddetta società civile, vede decisamente perplesso Giuseppe Berta, lo storico dell’industria e delle élite economiche, nonché raffinato analista dei mutamenti sociali, che meglio di molti altri conosce quel mondo il cui sguardo, tra il preoccupato e l’ambizioso, si sta volgendo con inatteso interesse verso il piano nobile piazza Castello. Ma Berta oltre che attento osservatore e testimone di quella stagione è stato anche intellettuale di rifermento per il prosieguo di essa con l’approdo di Sergio Chiamparino a Palazzo di Città.
Professore, quindi manca un nuovo Salza per rendere possibile un’Alleanza per il Piemonte?
«Salza aveva un suo seguito, era riconosciuto da tutti, aveva capacità di aggregazione e anche risorse, che pure quelle servono. C’era lui, ma anche altri soggetti con forti capacità in tal senso. Oggi non saprei individuare qualcosa di analogo. Il mondo delle imprese non ha una leadership di quel tipo. E poi c’era una struttura camerale piena di risorse, al contrario di oggi quando le Camere di commercio stentano a campare. Quando quel progetto risultò vincente, portando Valentino Castellani a essere eletto sindaco, c’erano sindacati che avevano presa sul territorio. Adesso, lo dico con tutto il rispetto per le persone, ma non c’è più la presenza di allora».
Semmai i ragionamenti di oggi si dovessero concretizzare in una proposta da sottoporre agli elettori per il voto del 2019, ci si troverebbe di fronte a una novità assoluta per quanto riguarda l’ente e il territorio da esso governato. Un conto è una città, sia pure grande come Torino, altro è un’intera regione. A suo avviso sarebbe un ulteriore ostacolo?
«A livello regionale non si è mai tentata un’aggregazione simile. La stessa candidatura di Giuseppe Pichetto contro Enzo Ghigo è pur vero che nasceva un po’ da una spinta del genere, ma all’interno di confini politici piuttosto netti (quelli dell’Ulivo, nel 1995, ndr). Adesso mi è difficile immaginare quale sia una forza a livello regionale che possa fare da aggregatore e proporre per la Regione una presenza molto articolata in un territorio dove si assiste a un forte fenomeno di sfarinatura politica. Penso a Vercelli, a Novara che risente dell’attrazione lombarda, Asti e Alessandria diventate molto friabili dal punto di vista politico».
E Torino, da dove tutto si immagina possa partire…
«La Torino di oggi a me pare afona. Mi sarei aspettato che la svolta dello scorso anno con la sconfitta del centrosinistra suscitasse una discussione, una reazione, invece non ha suscitato niente».
Questo è uno dei problemi irrisolti del Pd che non contribuisce certo a rassicurare alcuni ambienti circa l’esito delle future elezioni regionali, con in sovrappiù l’attuale nodo non ancora sciolto sulla possibile ricandidatura di Chiamparino. È per una mancanza di risposte da parte della politiche che si muove la società civile, come sta accadendo proprio per la Regione?
«La domanda è semplice: qual è l’agenda della politica? Semplice la risposta: la politica è autoreferenziale, non discute più nulla. Torino che obiettivi ha? A chi si parametra? A nessuna città europea. E non può farlo certo con Milano. Oggi viviamo in una beata o beota, scelga lei la vocale, indifferenza».
Però l’alternativa “civica”a suo avviso resta difficilmente realizzabile.
«Per varie ragioni. Quali sarebbero, per esempio, i punti di forza per un piattaforma politica che nasca dalla società civile piemontese nelle sue espressioni economiche e sociali? Allora, sempre per tornare indietro all’epoca di Castellani, c’erano soggetti riconosciuti, c’era bene o male il riferimento del mondo Fiat, oggi definitivamente tramontato. Le trasformazioni che ha subito il Piemonte dagli anni Novanta ad oggi e poi soprattutto l’influenza delle crisi, ci fanno stare in una situazione di completa mobilità, senza contare che sul Piemonte pesa sempre il dato demografico negativo rispetto ad altre regioni. Ma il punto è soprattutto questo: non sappiamo più qual è la realtà con cui abbiamo a che fare. Se non abbiamo più il Nord Ovest delle grandi imprese cosa c’è? Le nostre imprese sono di dimensioni intermedie e quelle grandi per l’Italia non sono le grandi che dominano la scena internazionale. Dovremmo ricostruire, e questo è mancato nell’agenda della politica, uno spaccato su che cos’è il Piemonte di oggi, quali le risorse e quali i problemi. E capire, decidere dove vogliamo andare. Se vedo il dato positivo del 4% in più di produzione industriale e poi vedo anche che l’automobile è stato il traino, allora devo preoccuparmi per quando non ci sarà più Fiat Chrysler. Dobbiamo fare i conti con imprese che hanno testa e cervello altrove, convincerle che è qui che devono rimanere, ma questo presuppone una visione di lungo periodo».
Quella che è mancata e manca alla politica?
«La politica vive alla giornata e non studia più. Come investimento culturale i partiti spendono i soldi per i sondaggi».
Però, l’alternativa della società civile, del mondo dell’impresa la lascia scettico.
«Quel modello che ebbe successo a Torino un quarto di secolo fa, oggi non lo vedo per il Piemonte. Non vedo quei progetti, quelle strategie. E non vedo neppure una di quelle leadership».