ECONOMIA DOMESTICA

Borsalino, allerta sul marchio

L’azienda dichiarata fallita non era più proprietaria del brand, finito nelle mani dell’imprenditore svizzero Camperio che ora potrebbe produrre altrove i celebri cappelli. Un altro scippo al made in Italy? Faro acceso della magistratura

Sembra esserci la parabola dell’Italia, calante come la falda sullo sguardo di Humphrey Bogart, nella storia del cappello italiano calcato sulle teste di divi di Hollywood e capi di Stato. Borsalino fece fortuna, come gli italiani, prima in America e poi in Europa, da marca diventò sinonimo, imponendo uno stile, poi la storia tornò italiana con la cessione da parte delle famiglia dei fondatori e si fece italianissima negli anni recenti con il disastro combinato da un bancarottiere al quale ha cercato, con un certo successo, di porvi rimedio una cavaliere bianco arrivato dalla Svizzera. C’era il mondo attorno a Borsalino, che è sempre rimasta ad Alessandria, dove venne fondata e dove lavora più di un centinaio di operai che poi sarebbe meglio chiamare artigiani con la maiuscola.

Ad Alessandria continuerà a produrre cappelli, nonostante l’onta del fallimento decretato ieri dal tribunale, promette Philippe Camperio, amministratore di Haeres Equita, il cavaliere bianco che confida: “Speriamo di poter continuare a costruire un futuro per Borsalino”. Speranze accarezzate come un feltro uscito dalla fabbrica alla periferia della città dove vie, ex sanatori e palazzi portano il nome della famiglia che tramutò il cognome in un marchio.

Già, il marchio. Su quello potrebbe scriversi l’ennesima pagina della parabola italiana, quella che racconta di delocalizzazioni, di passaggi in mani straniere di brand che hanno fatto la storia del Paese e di un made in Italy che tale non è più perché il prodotto lo si fa altrove, all’estero. Sembra un paradosso, quasi una bestemmia, pensare a un Borsalino uscito da fabbriche dell’Est Europa o addirittura in Cina. Ma la storia ne riserva di sorprese. In teoria è possibile, giacché ad essere dichiarata fallita è la società, attualmente in affitto alla Haeres Equita di Camperio, pronta a mettere capitali per evitare il tracollo. Non è andata così. Ma di capitali Camperio ne aveva già investito un bel po’, 18 milioni di euro, proprio per rilevare il marchio, che poi è il valore assoluto dell’azienda nel mondo, senza nulla togliere a quello di chi i cappelli li fa seguendo regole tramandate per oltre un secolo.

Il brand era finito, come pegno per i crediti vantati, a Mediocredito che a sua volta aveva incorporato la Leasint da Intesa Sanpaolo. Adesso Borsalino, il marchio, è fuori dal fallimento e nelle mani dell’imprenditore che ribadisce di voler proseguire l’attività ad Alessandria lasciando immaginare una partecipazione all’asta che seguirà al fallimento stesso. Ma le sorprese, quelle, nella storia travagliata del cappello per antonomasia, si sa non sono ma mancate in epoca recente. Ed è anche per questo che i curatori nominati dal tribunale, Stefano Ambrosini e Paola Barisone, tra le tante carte da spulciare metteranno pure quella cessione di un mese fa. Carte sulle quali la procura alessandrina avrebbe acceso un faro, soprattutto per accertare la regolarità del passaggio di proprietà e fugare i sospetti che con tale cessione sia depauperato volutamente il patrimonio della Borsalino.

Sono state previste clausole per evitare che del marchio si possa fare qualsiasi uso, arrivando all’inimmaginabile ma non escludibile a priori realizzazione dei pregiati copricapo in Cina o in qualsiasi altra parte del mondo?  “In fabbrica ci sono molta tensione e nervosismo. Questa è una situazione che ha dell’assurdo. C’è lavoro e ci sono ordini e, per questo, dopo la decisione del tribunale, non si può che essere arrabbiati” diceva ieri Maria Iennaco, della Cgil, parlando dello stato d’animo delle maestranze nello stabilimento di Spinetta Marengo, alle porte di Alessandria. “Ci confronteremo con i curatori, in attesa di incontrare nei prossimi giorni Camperio" annunciano i sindacati.

Dal canto suo l’imprenditore svizzero sostiene che il fallimento “si basa su ragioni tecniche e legali che nulla hanno a che fare con l’attività gestionale dell'azienda da parte di Haeres Equita” e pertanto “continuiamo nell’impegno volto a trovare soluzioni che preservino questo iconico brand e gli interessi di tutti gli stakeholders: i livelli occupazionali, i fornitori, i clienti, la città. Speriamo dunque di poter continuare a costruire un futuro per Borsalino”. Ad Alessandria sperano che sia così, e che il futuro sia sempre lì dove c’è il passato, la vita e le origini di un marchio arrivato ad essere uno dei dieci italiani più noti nel mondo. “Credo che questo sia l’inizio di una bella amicizia”, diceva Bogart in Casablanca, con il Borsalino in testa. C’è da sperare che questa non sia l’inizio di un’altra una brutta storia.

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