VERSO IL 2019

Primarie di coalizione, Chiamparino "tentato"

Coinvolgere il "popolo" del centrosinistra per trovare il suo successore. Questa è l'ultima carta che il governatore intenderebbe calare al tavolo con gli alleati. Dopo non resta che la ricandidatura. I timori di un duello con la Porchietto

L’idea, obtorto collo, è destinata a piacere, finendo pure per diventare quel sasso nello stagno del centrosinistra che rischia di trasformarsi in palude se nulla continua a muoversi mentre il tempo scorre inesorabile verso il voto della primavera prossima. Sergio Chiamparino la valuta e l’accarezza, forse ci si tormenta pure. Se alla fine, come molto lascia supporre, deciderà di proporla, lo farà nell’incontro con i vertici di maggioranza dell’8 settembre pronunciando la parola magica (magari per alcuni, tragica): primarie.

L’elemento fondativo del Partito democratico, mai in crisi come oggi, torna a riaffacciarsi come estrema soluzione per tentare di uscire dall’impasse sul nome da candidare alla presidenza della Regione, questione rimasta irrisolta anche dopo il giro di consultazioni estive. Nessuna ipotesi convincente è emersa, né dai colloqui con i tradizionali stakeholder né dallo stanco dibattito interno al centrosinistra: qualche timida autocandidatura è stata prontamente sepolta dall’indifferenza dei più e liquidata come “impraticabile”. Tant’è che per molti nel Pd e nelle formazioni che compongono l’attuale maggioranza a Palazzo Lascaris è stato quasi scontato tornare a guardare al Chiampa come al candidato naturale a succedere a sé stesso. Ogni parola, compreso quel “fin che potrò ci sarò” detto ieri alla presentazione della Festa dell’Unità in risposta a chi lo ringraziava della sua presenza, viene analizzata e spesso interpretata come un possibile ripensamento di quel passo di lato prospettato a Baveno lo scorso luglio.

Un’esegesi, quella del vasto fronte che auspica una ricandidatura del governatore in carica, tra cui spicca il leader dei Moderati Mimmo Portas (acerrimo nemico della primarie), non certo errata in molte circostanze visto che l’irrevocabilità del rifiuto appartiene ancora all’ambito delle variabili. Tuttavia, nel caso i ragionamenti fatti in questi ultimi giorni e condivisi con alcuni esponenti di rilievo del Pd portassero Chiamparino a mettere sul tavolo le primarie di coalizione, il suo mettersi (o, meglio, rimanere) fuori dai giochi, pur mantenendo un ruolo fondamentale nella partita, sarebbe automatico e, probabilmente, definitivo. Il “padre nobile”, l’ultimo cavallo di razza di una stagione ormai consegnata alla storia, scaccerebbe così lo spettro di Piero Fassino, l’altro ex ragazzo di via Chiesa della Salute con il quale pericolosamente si avvia a condividerne l’epilogo. Spiace essere così brutali, ma accorgersi solo ora dell’assenza di una classe politica di ricambio, dopo aver avuto nelle proprie mani per quasi un trentennio le principali leve di potere equivale ad ammettere (anche) il proprio fallimento. Da qui la necessità di una mossa in grado di riaprire la partita.

Difficile trovare chi boccerebbe l’idea, sia per il fatto di condividerla come mezzo, sia per il non trascurabile particolare che arriva proprio da lui. E Chiamparino, in questo modo, eviterebbe l’eventualità di “subire” il ricorso alla consultazione eventualmente avanzato da altri, cosa che inevitabilmente assumerebbe i tratti di un “processo” alla sua attività di governo. Inoltre, offrirebbe la possibilità di comprendere se, quante e quali velleità o disponibilità ci sono. Cosa che ad oggi, eccetto rarissimi e non fortunati casi, non è successo.

Le primarie di coalizione servirebbero non solo a tastare il polso dell’elettorato e instillare un po’ di passione in un ceto politico sconfortato e rassegnato all’ineluttabilità della sconfitta, ma potrebbero far emergere candidature da quella società civile spesso invocata ma ancora spettatrice. Nel caso dei candidati organici ed espressione dei partiti si misurerebbe comunque, al netto delle immancabili truppe cammellate, la capacità di ampliare la platea elettorale, così come indicato dallo stesso Chiamparino col suo concetto di campo largo.

L’altro campo cui guardare è ancora con un perimetro da definire: sarà come molto lascia supporre un contratto tra Lega e M5s, magari con la Lega che non sarà più quella di oggi arrivando Matteo Salvini in tempo con il nuovo partito unico di centrodestra? Oppure sarà la coalizione tradizionale con Forza Italia sempre più debole, ma chissà ancora capace di poter strappare al Capitano la concessione della candidatura presidenziale?

In quest’ultimo caso, voci raccolte tra chi a sua volta ha scorto qualche puntuto commento del Chiampa, raccontano di una sua malcelata preoccupazione davanti all’ipotesi che a scendere in pista possa essere la deputata azzurra Claudia Porchietto. I due non si sono mai presi, lui la patisce non poco e ha spesso duellato con lei a colpi di fioretto nell’aula di via Alfieri, rinfacciandole i suoi trascorsi di assessore nella giunta Cota. Meglio Alberto Cirio che peraltro ama definirsi un “giovane Chiamparino”, con una punta di piaggeria verso il “vecchio Chiamparino”, vellicando la vanità del governatore non insensibile all’adulazione. Il timore di una Caporetto torinese ad opera della parlamentare che potrebbe pescare voti anche nel centrosinistra (“Quella ci pialla”, conferma un alto dirigente del Pd), unita a una sorta di misoginia politica nei suoi confronti avrebbero fatto intingere la penna nel curaro. Nel replicare alle sollecitazioni a darsi una mossa sul federalismo (“Si sta svegliando da torpore di questi quattro anni e mezzo, un po’ come le marmotte che si trovano sul nostro amato Monviso”) non ha usato perifrasi: “Posso capire il desiderio dell’onorevole Porchietto di compiacere il vice presidente del Consiglio Salvini, ma è disinformata”. Certo, “adesso liscia il pelo a Salvini per farsi candidare”. Non lo ha scritto, ma lo ha pensato. Ad alta voce.

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