Una sinistra di mercato

Immagino che la nostrana Sinistra di governo non abbia mai meditato davvero sullo scenario sociale e politico che ha costruito in questo ultimo decennio. Gli esecutivi alla guida dell’Italia dalla fine degli anni ’90, quelle stesse maggioranze che all’estero avrebbero definito progressiste, hanno dato ai nostri concittadini una terribile spinta finale verso la povertà sia economica che civile.

Una deprivazione perseguita per mezzo di tante e continue formattazioni delle garanzie fondamentali tutelate dalla Costituzione: uno spietato azzeramento del diritto al lavoro, alla salute e allo studio. L’attuale distruzione sociale sarà in futuro certamente oggetto di studi sociologici, e i ricercatori del prossimo secolo non comprenderanno come governi che si sono autodefiniti di Centrosinistra possano aver fatto così tanti danni, in pochissimo tempo, alla popolazione che dicevano di voler rappresentare.

Gli esempi in merito sono consistenti. Scelte amministrative e legislative che vanno dalla privatizzazione selvaggia dei beni comuni, ossi del patrimonio collettivo, sino alla mancata cura delle scuole. Disastrose opzioni politiche realizzate attraverso salari ridotti al minimo e pensioni dai cedolini risicati, miseri, ai quali gli anziani beneficiari sovente reagiscono andando a rovistare nei cassonetti dell'immondizia (o nei rifiuti abbandonati nel dopo mercato).

Agghiacciante osservare come nessuno (ripeto nessuno) dei grandi personaggi che in questi anni occupavano le stanze dei bottoni di Palazzo Chigi, sopra quegli scranni che loro stessi definiscono “a Sinistra”, eserciti una seria autocritica o anche solo imbocchi il cammino della riflessione. Ex compagni che non si concedono alcuna valutazione sulla trasformazione di un Paese che in passato ha saputo prestare attenzione agli ultimi, grazie a un welfare traballante ma efficace seppur in chiave democristiana e anticomunista, e che recentemente ha dedicato tutte le risorse statali per assecondare il potere dei mercati. L’alleanza dei quadri PD con i potentati bancari e finanziari è stata sugellata a scapito delle classi sociali più fragili.

Le riforme politiche a cui si sono dedicati gli ultimi premier del Belpaese hanno disegnato un precariato dal lavoro dai contorni giganteschi, senza al contempo prevedere però la creazione di ammortizzatori sociali capaci di sostenere i giovani (e i meno giovani) durante i lunghi periodi di non occupazione tra un impiego e l’altro.

Innanzi a questo dato di fatto tanti disoccupati hanno optato nel non cercare più alcun ingaggio lavorativo: una scelta, per la maggior parte dei casi, non frutto di pigrizia ma di valutazioni economiche tendenti a tagliare le spese imposte da datori senza scrupoli. Un secco rifiuto nei riguardi di quegli imprenditori che a fronte di salari da fame pretendono siano i dipendenti a pagarsi le divise, nonché il trasporto verso il luogo di impiego. Una situazione paradossale in cui non lavorando si evita di saccheggiare il conto corrente dei genitori per acquistare quanto necessario all’espletamento delle mansioni derivanti dall’assunzione.

In sintesi, Ministri e Premier hanno tolto per anni la terra sotto i piedi dei loro elettori, mentre al contempo aprivano (in questo caso giustamente) le porte ai cittadini di Paesi stranieri in fuga dalla miseria come dalla guerra (due prodotti, questi ultimi, dal marchio “Occidente”) ma andando così incontro al disastro finale. Un corto circuito generale dovuto a un fenomeno stravagante assai: varo di garanzie, anche economiche, a sostegno dei nuovi venuti, a fronte della distruzione della rete sociale nei confronti del proprio popolo (che vota).

Un delirio legislativo confermato ad esempio dalla revoca dello status di disoccupato, con relativi minimi benefit (tra cui preziose esenzioni dai ticket sanitari e trasporti gratuiti), a coloro che hanno modestissimi impeghi a chiamata con un ridicolo monte ore mensile retribuito. I cittadini devono fare di continuo i conti con risorse finite nonché uffici pubblici raramente pronti all’ascolto, alimentando in sé stessi una pericolosa frustrazione generatrice di ideologie intrise di false protezioni economiche e, contemporaneamente, di egoistiche voglie di respingimento nei confronti di chi approda sulle nostre coste.

La tempesta perfetta è servita. Uno tsunami reso ancor più devastante dalle ultime posizioni politiche del Pd davanti alle misure contenute nella manovra finanziaria del governo giallo-verde. Una reazione stizzita e interamente protesa alla protezione dei soli Mercati.

Il reddito di cittadinanza, ossia il salvagente lanciato ai precari, insieme alla rimodulazione più favorevole ai lavoratori del sistema pensionistico forse non cancelleranno la povertà, come annuncia la propaganda di “Peròn” Di Maio, ma sicuramente forniranno alcune dosi di vitale ossigeno a tante famiglie disagiate. Scelte che permetteranno quindi di rimpolpare sensibilmente il numero di coloro che potranno di nuovo accedere al piccolo consumo (seppur non di lusso), così da rilanciare contemporaneamente industria e settore agricolo alimentare.

In questi ultimi giorni si è potuto assistere agli annunci preoccupati dei leader democratici e berlusconiani, da Martina a Berlusconi stesso, indirizzati a mettere tutti in guardia sulla reazione degli speculatori delle Borse innanzi a riforme di stampo “assistenziale”. Preoccupazioni in compenso del tutto assenti, da parte dei partiti precedentemente al potere, quando si trattava di controllare il passaggio dalla Lira all’Euro tutelando i consumatori e i salari.

L’assioma che ne deriva ha tratti cinici e non presenta ipocrisie: i Mercati vanno bene nel caso in cui si affamino i popoli e, al contempo, si alimenti la ricchezza di chi è ricco, mentre scricchiolano pesantemente quando si torna a politiche sociali e nazionalizzazioni di servizi essenziali. Insomma, per favorire gli speculatori occorre creare una società profondamente ingiusta nei riguardi dei più deboli, ossia la maggioranza dei cittadini.

La manifestazione “democratica” svoltasi domenica a Roma segna una rottura definitiva di quel partito con i valori sociali. Una deriva neoliberista conclamata, frutto di una chiara scelta di campo dal sapore settecentesco (ante Rivoluzione francese): prima i ricchi e poi tutti gli altri. Qualsiasi telespettatore che incappi in ex sindacaliste in tailleur impegnate ad attaccare ferocemente il reddito di cittadinanza, come da tempo è intenta fare l’ex ministra Valeria Fedeli, trova conferma dell’enorme barriera che oramai divide il popolo dalla classe dirigente formatasi in seno al Pci.

Una Sinistra così fatta alimenta, tra le classi meno abbienti, la voglia di un ritorno all’ordine per mezzo di fez e camicie nere. Se è vero che Berlusconi ha sdoganato i neofascisti negli anni ’90, è altrettanto vero che il narcisismo renziano ha permesso loro di diventare la credibile alternativa all’utopia tradita.

Il nuovo “Ventennio” è servito senza ostacoli: questa volta non ci sarà neppure un Matteotti a gridare il suo sdegno, ma solo appelli alla tutela degli investitori.

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