La Sinistra, la tastiera e il panico

A ben vedere, tutta l'energia spesa in queste ultime settimane da diversi esponenti e militanti della Sinistra parlamentare italiana è energia da pixel, sociale nel senso di Facebook. Qui, quasi ogni giorno e indipendentemente dalla agenda del giorno, il furore digitale dei vari corifei del Pd inscena continue e livorose reprimende verso chiunque non si adegui al mantra d'uopo, che recita più o meno così: “Maledetti Cinquestelle, impreparati, mentitori, distruttori dei valori di sinistra e manipolatori delle masse”. Magari è anche vero, ma sembrerebbe, dato il livore, che il partito di Di Maio sia riuscito sul serio, in un paio di mesi, a realizzare il programma operativo, di smantellamento della cosa pubblica, di incaprettamento al regime del debito e di “superamento” dei diritti del lavoro, messo in cantiere da Renzi e Alfano.  Deve trattarsi della potenza del nuovo.

A me le crisi di panico fanno allegria, anche le mie. Si dovrebbe, a sinistra, smettere di parlare dei personaggi politici e delle indiscrezioni sui provvedimenti neo-promulgandi, per provare ad analizzare semplicemente lo stato attuale del Capitale e delle sue contraddizioni. Molte delle fonti di panico si ridimensionerebbero e acquisirebbero una maggiore aria di famiglia, visto che ci stiamo dentro da quando eravamo bambini.

Il tardo Capitalismo genera una realtà sociale che le analisi classiche in Italia non riescono a descrivere almeno dagli anni settanta, rivelando la loro obsolescenza. Il lavoro industriale ha mutato non tanto la sua posizione rispetto al processo di autoespansione, diventando relativo, marginale e non più centrale, quanto soprattutto la sua funzione rispetto a quello stesso processo. Il lavoro, e certo non da oggi, non valorizza più ma impoverisce invece il capitale investito, visto che l’automazione ha sostituito il lavoro umano in quella funzione e lo ha ridotto sostanzialmente ad una spesa, ad una voce pura nelle uscite di bilancio. Il lavoro pagato al lavoratore in azienda è soprattutto una spesa viva, un costo che ha la funzione politica di continuare a radicare i processi di autovalorizzazione entro il regime gerarchico e repressivo del lavoro comandato, che ha valenza sociale molto più che economica stricto sensu. Si paga la gente perché stia al suo posto, visto che l’applicazione della scienza-tecnica al processo produttivo, in tutti i campi, consente già da decenni, alle Nazioni più avanzate economicamente, di fare a meno almeno dei due terzi della manodopera, potenzialmente in tutti i campi produttivi, tanto dei beni quanto dei servizi. Il lavoro è mantenuto anzitutto per la funzione politica, di conservazione dell'ordine sociale prevalente, che il rapporto salariato nella sua struttura dissimmetrica induce e riproduce nel mondo sociale. Il lavoratore, e non certo da oggi, nei Paesi del G8 è un cognitario, come si usa dire. Si incarna nella moltitudine svariatissima dei soggetti sociali, soprattutto perché mette a disposizione del capitale, ovunque e sempre, le sue risorse più intime, cognitive, personali, emozionali, direttamente mentre vive, o semplicemente esiste. Google docet. Su questa lettura della tendenza in atto nel turbo capitalismo bisognerà, prima o poi, convenire con l’Operaismo, e ancora prima con Herbert Marcuse, come anche occorrerà accorgersi che questo “oggi”, queste cosiddette “novità”, il capitalismo tardo di cui ora anche io discettavo, sono vecchi di almeno quaranta anni. Queste dinamiche reali sono in atto dalla fine degli anni settanta almeno, qui in Italia.

La pluralizzazione delle contraddizioni, insieme alla loro diffusione in ogni campo della vita sociale, e alla dispersione del soggetto produttore nel tessuto stesso, qualunque, della vita associata, genera reazioni frammentarie, contraddittorie e spesso qualunquiste. La crisi degli istituti tradizionali della rappresentanza operaia e sindacale, in atto appunto da almeno quaranta anni, genera monstra che non sono post-politici ma ultra-politici invece, nel senso in cui Marx parlava del socialismo realizzato come di una fine della storia: fine del lavoro, fine della crescita, fine dello Stato e della rappresentanza. Senza ulteriori mediazioni, sfruttando il quadro normativo formale che il capitalismo stesso ha costruito per la propria affermazione, oggi le popolazioni stesse, i cittadini, le persone... i detentori legittimi della sovranità insomma, comunque li si voglia considerare, vengono direttamente in contatto col sistema del denaro accumulato, senza che nessuno ne medii più l’impatto in modo significativo. Contraddittorio l’uno, il denaro, contraddittorie le altre, le istanze collettive. Propaganda tecno-smart ed ecologista mentre si depreda l’Africa e si generano i migranti, sul versante del denaro. Sull’altro, quello delle moltitudini, acceso civismo e rispetto della legalità borghese, anche dei suoi valori migliori,  voglia di esprimersi e partecipare direttamente, come degli adulti, alle cose comuni perché proprie; ma anche egoismo, rigurgiti razzisti, paura dell’altro e della povertà per sé. Insieme, contraddittoriamente, da una parte e dall’altra: come deve essere, almeno per chi si vuole ispirare alla dialettica materialista di Marx. La fase attuale ha generato, insieme a Orban e Le Pen, anche Podemos e il neo-laburismo anticapitalista di Corbyn.

La militanza da tastiera mi pare produrre invece letture da tifoso incallito di una squadra di calcio, da iscritto ad un club del cuore che non si deve mai tradire, indipendentemente da cosa faccia. Mi pare un istupidimento grave, che attribuisco al panico generato dalle elezioni di Marzo. Spero si tratti insomma di semplice ansia, e non di depressione neurotica grave, perché in quel caso la burocratica contro-parte istituzionalizzata della politica extra-parlamentare, tanto di quella culturale quanto di quella maggiormente robusta sotto il profilo dell’azione diretta, morirebbe del tutto, lasciandoci, a noi sinistri extra-partitici, davvero soli; ancor più di quanto non siamo stati lasciati negli ultimi quaranta anni.

*Andrea Pascali, sociologo, ex dirigente Sel Torino

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