Il popolo giù dal predellino

La parabola del partito unico del centrodestra. Un fallimento sia a livello organizzativo sia, in larga parte, di natura politica. Ma non è affatto chiaro ciò che potrà nascere dalle sue ceneri

Tra il 2010 e il 2011 si è conclusa l’inevitabile implosione dell’esperienza del partito unico del centrodestra incarnata dal Popolo della Libertà. Le divisioni interne e la successiva uscita di Fini dal Pdl, il fallimento elettorale nelle amministrative della primavera successiva, le difficoltà intrinseche del Governo e dello stesso Berlusconi nel continuare a mantenere un ruolo credibile a livello nazionale e internazionale, hanno segnato la fine di un’esperienza che, come si è visto, è stata guidata più dalle esigenze estemporanee e dai tatticismi di breve periodo, che dall’elaborazione complessa e articolata di un progetto culturale e politico di ampio respiro.

 

Sul finire del 2008, osservatori e analisti guardavano alla costituzione del Popolo della Libertà – nonostante la consapevolezza diffusa della natura poco riflessiva dell’operazione berlusconiana – come alla possibilità di creare una struttura organizzativa stabile e radicata, con chiare regole interne indispensabili non solo per la creazione di una rete di dirigenti selezionati dal basso, ma anche per riuscire, seppur con difficoltà, a coagulare e a coordinare le diverse anime del partito in modo autonomo rispetto alla leadership di Berlusconi.

 

L’operazione nel suo complesso appariva difficile proprio perché tutta calibrata sulle capacità di coordinamento e di coinvolgimento proprie del leader. La questione era quindi se tutto ciò che solo poteva garantire la sopravvivenza del nuovo partito sarebbe stato realizzato e come. Sarebbe stato capace il leader di guidare una radicale trasformazione interna volta ad instaurare procedure democratiche e aperte attraverso le quali le diverse posizioni avrebbero potuto confrontarsi, lasciando, al termine naturale della sua guida, un partito forte e una classe dirigente consapevole?

 

Il progetto del Pdl poteva avere un successo duraturo solo se interpretato in termini post-berlusconiani, evitando che si realizzasse, al contrario, l’ennesima strategia di marketing politico per il rinnovato contenitore, che avrebbe continuato a mantenere un contenuto esclusivamente e limitatamente calibrato sulla leadership di Berlusconi. Che il potere carismatico di un leader politico possa istituzionalizzarsi tanto da trasferire le proprie capacità di coinvolgimento e suggestione sulla nuova classe dirigente è estremamente raro, ma questa via resta l’unica possibilità, per un partito così caratterizzato, di sopravvivere al suo leader. Perché ciò avvenga, la classe dirigente dovrebbe essere in grado di preparare la successione e scongiurare il pericolo che il partito si trovi impreparato ad affrontare le inevitabili «lotte di potere» per il dopo Berlusconi.

 

Se queste erano le premesse e le esigenze intrinseche dell’operazione politica realizzatasi con la costituzione del Popolo della Libertà, è evidente come questo partito non le abbia saputo mantenere: non si è, in effetti, saputo trasformare in una grande forza liberale e moderata, articolata al suo interno e capace di essere luogo di confronto e di elaborazione di idee e progetti e di reclutamento e promozione di una capace classe dirigente.

 

Il fallimento è certamente attribuibile all’incapacità di realizzare procedure decisionali e deliberative interne effettivamente democratiche, al pari di altri grandi partiti europei, lasciando, così come accadeva per Forza Italia, che le dinamiche interne fossero guidate sempre ed esclusivamente da rapporti di subordinazione e fedeltà personale al leader.

 

Il Popolo della Libertà si è rivelato essere, quindi, una copia organizzativa di Forza Italia, guidato da una visione di brevissimo periodo, legata ad un leader che oggi subisce un deficit di legittimazione e di popolarità, incapace di attivare effettive procedure di cambiamento interno, e sapendo prospettare – sempre sotto l’egida del leader Berlusconi – solo un ennesimo re-styling organizzativo, nuovi ruoli dirigenziali ma con effettiva poca autonom,ia decisionale, e forse una futura rifondazione attraverso l’annuncio della Costituente popolare, di cui ancora oggi non sono stati definiti obiettivi, valori e prospettive.

 

Chiara Moroni

Genesi e storia del Popolo della libertà

Quale futuro per un partito unico del centrodestra

Rubbettino, Soveria Mannelli 2012

pp. 196, € 14,00

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