TRAVAGLI DEMOCRATICI

Pd, la conta regionale va avanti tra veleni e venti di scissione

La rinuncia di Minniti e le mosse di Renzi agitano il congresso piemontese. Il candidato della sinistra Furia attacca Marino: "Tra i suoi sostenitori c'è chi non ama il partito ed è pronto ad andarsene". Lo scoramento di Gariglio: "Un gran casino"

Non seguitemi, mi sono perso anch’io. Difficilmente il parlamentare piddino di prima nomina, ma di lungo corso, avrebbe potuto trovare un’immagine più efficace di quella dell’adesivo che qualcuno appiccica sul lunotto posteriore della macchina, per dare l’idea del Pd la sera in cui piomba e rimbomba la non del tutto inattesa notizia della rinuncia di Marco Minniti a correre per la segreteria nazionale. Forse gli riesce più facile perché quel senso di smarrimento rischia di essere vissuto in maniera ancor più travagliata da chi, come lui, è arrivato a Roma dal Piemonte dove il partito è alle prese con un congresso regionale, su cui adesso è impensabile non si rifletta con ulteriore forza quel che accade in ambito dentro e attorno al Nazareno.

“Un gran casino” sussurra un inquieto Davide Gariglio in attesa di parlare con il suo capogruppo alla Camera Graziano Delrio. Poi, a voce un po’ più alta, ammette: “è un momento molto difficile, per il partito in quanto tale ancor prima che per una mozione in particolare”.

Al posto di Minniti si parla di Lorenzo Guerini, anche se il suo ruolo di presidente del Copasir, il comitato parlamentare per i servizi segreti, potrebbe essere un impedimento. Ma a spirare sempre più forte sono i venti di una scissione, quella renziana, che potrebbe avvenire già nelle prossime settimane, alla vigilia delle elezioni europee.

Si affastellano le ricostruzioni delle ultime ore: le rassicurazioni di Luca Lotti, Ettore Rosato (pure lui nel novero dei possibili sostituti di Minniti) e dello stesso Guerini non sarebbero bastate all’ex ministro dell’Interno. A quanto pare nemmeno Renzi ha voluto o potuto dare garanzie sufficienti, se è vero che, come dirà ormai in tarda sera un esponente renziano, "la candidatura Minniti non c'è più". Tra i due si è già al rimpallo delle responsabilità. I renziani, a microfoni spenti, accusano Minniti di volerli trattare con sufficienza, tenendoli in disparte come un parente scomodo ma chiedendo il sostegno della loro macchina per ottenere i voti prima degli iscritti e poi alle primarie.

Minniti, spiegano invece dal fronte opposto, avrebbe preso la decisione per le voci di scissione e, soprattutto, per l'atteggiamento di Renzi. Davvero un casino, come dice Gariglio. Il quale, tuttavia, guardando dalla Capitale a quel che potrà succedere nella sua regione ostenta una certa tranquillità: “Prevarrà il buonsenso, almeno lo spero” dice riferendosi alla partita congressuale per il posto che lui ha lasciato ormai quasi un anno fa.

Forse sarebbe dovuto prevalere quando era il momento per dare al partito piemontese una candidatura unitaria: l’impatto con lo show down sarebbe stato certamente meno traumatico. Ma si sa come sono andate le cose. Veti e controveti, impuntature e ambizioni personali hanno portato a non evitare le primarie di metà dicembre e a mettere in campo tre candidati: il biellese Paolo Furia per la sinistra, la cattodem Monica Canalis schierata in zona Cesarini da Stefano Lepri, dopo che Luigi Bobba si era fatto da parte, e il senatore Mauro Maria Marino, per l’area renziana allargata ad altre componenti del partito, comprese alcune che non avrebbero sostenuto Minniti.

Ed è proprio il parlamentare che, al netto dello sconquasso provocato dal passo indietro di Minniti, secondo le previsioni avrebbe la strada spianata verso la segreteria regionale a segnare la linea di demarcazione: “Ho inteso la mia candidatura nella dimensione piemontese svincolata da quella nazionale e sono orgoglioso che ci siano rappresentanti di varie mozioni a sostenere la mia. Per questo – osserva Marino – non ritengo che quel che accade sul piano nazionale abbia forte influenza sui nostri processi congressuali. Concentriamoci e lavoriamo sul Piemonte”.

Poche ore prima del diffondersi della notizia del forfait dell’ex ministro dell’Interno, ad attaccare sia pure con la sciabola impugnata a mo’ di fioretto, era stato il suo avversario sul fianco sinistro, Furia: “Mi è capitato di sentire in alcuni dibattiti del nostro congresso regionale alcune persone a sostegno del candidato Marino affermare la necessità di dividersi, di prendere ciascuno la propria strada" aveva scritto in una nota il giovane biellese in lizza per via Masserano, anche se l’aver vinto una borsa di ricerca lo porterebbe per un non breve periodo di studi a Parigi. "Risulta a Marino – chiede Furia – che tra i suoi sostenitori c'è chi il Pd non lo ama, ma preferirebbe costruire una forza schiettamente moderata, una forza centrista che non ha più nulla a che vedere con l'orizzonte sociale e laburista del Pd che avevamo in mente quando lo abbiamo fondato?”.

Secca la replica del senatore: “Assolutamente no. Il tema vero è tra chi vuole costruire un partito riformista democratico e chi guarda al passato facendo riferimento solo a una delle radici del Pd invece che a tutte. Io sono nato ulivista, uno di quelli che combattevano per costruire un centrosinistra senza trattino”.

Radici importanti, ma che oggi paiono affondare in terreni lontani da quello in cui – sono sempre di più quelli che lo prevedono in tempi brevi – sta per nascere il PdR. Secondo alcune fonti renziane, Minniti avrebbe proprio chiesto ai parlamentari della corrente la garanzia scritta che non lasceranno il Pd se Renzi dovesse fare la scissione. Una richiesta giudicata irricevibile.

“Per farmi uscire dal partito che ho contribuito, per la mia parte, a fondare devono prendermi a calci” ha detto in questi giorni Marino e non ha cambiato idea. Ma anche in Piemonte, da oggi, nel Pd tutto non sarà com’è stato fino a ieri (e dire che non è stata gran cosa). Il rammarico di non essere riusciti, non aver voluto, evitare la conta rafforzando il partito con una candidatura unitaria più volte esortata dallo stesso Sergio Chiamparino (il quale addirittura in passato aveva ipotizzato un vero e proprio "modello Piemonte" svincolando ulteriormente il centrosinistra locale da logiche e steccati nazionali), sarà ancora più forte quando gli esiti di quella che appare sempre di più un’implosione si riverbereranno nella prima prova delle urne. Quella delle regionali.