Furia, il migliore per la sinistra

Paolo Furia è un ottimo segretario ragionale del Pd piemontese. Non solo per le sue indubbie qualità politiche, culturali e umane e per la coerenza del suo percorso pubblico. Ma, soprattutto, - ed è su questo tasto che voglio richiamare brevemente l’attenzione – perché il Pd nella fase politica che si è aperta dopo il voto del 4 marzo deve ridiventare, come del resto dicono tutti gli osservatori, semplicemente “un partito di sinistra”. O meglio, dove ridiventare il partito della sinistra italiana. Sinistra e riformista, democratica e di governo. Ma di sinistra.

Un’osservazione, questa, che è sottolineata non solo da quasi tutti gli osservatori delle cose politiche italiane, ma dagli stessi candidati alla segreteria nazionale dl partito. Non è un caso, in effetti, che sia Zingaretti, il quasi sicuro vincitore, e sia l’ex segretario pro tempore Martina, ripetono da settimane lo stesso concetto. Ovvero, adesso è il momento di “rifondare, ricostruire e rilanciare il progetto politico della sinistra italiana”. E quando si tratta, appunto, di rilanciare e rifondare il progetto della sinistra italiana, la guida politica non può che essere affidata ad esponenti che provengono dalla filiera del Pci/Pds/Ds. Come è scontato che il progetto su cui molti di noi stanno lavorando a livello nazionale – e cioè un movimento politico di radice cattolico popolare e democratica – sarà guidato da un esponente che arriva da quella tradizione culturale.

Ma, al di là di queste di queste riflessioni del tutto ovvie, il dato politico di fondo quando si parla del Pd dopo il 4 marzo e dopo aver archiviato Renzi e il renzismo, è quello che deve ritornare il pensiero e il progetto della sinistra. Serve, cioè, un partito di sinistra che prenda atto della fine di una stagione politica e contribuisce ad inaugurarne un’altra. Del resto, solo qualche nostalgico e qualche ipocrita continua imperterrito a parlare di “partito plurale”, di “vocazione maggioritaria” o di “partito che è la sintesi delle migliori culture riformiste” del nostro Paese.

Tutti sappiamo che, rispetto alla fondazione del Pd nel lontano 2007, oggi si è aperta una nuova fase politica. Al punto che lo stesso Chiamparino, e giustamente, fa sapere pur senza dichiararlo ai quattro venti che l’alternativa al centrodestra o ai 5 stelle non passa solo più attraverso il Pd. Per ragioni politiche e ovviamente elettorali. Certo, il cambiamento di fase politica impone anche la necessità di riarticolare l’ex coalizione di centrosinistra che sino a qualche mese, tutti d’accordo salvo qualche eccezione nel Pd, coincideva di fatto con il Pd stesso con l’aggiunta di qualche satellite a cui veniva gentilmente regalato qualche seggio parlamentare per confermare che si trattava di una alleanza e non di una coalizione mono partitica.

Si tratta, cioè, di ricostruire una alleanza – un po’ come ai tempi dell’Ulivo – larga, plurale e riformista dove ogni cultura politica o civica sia presente con il suo movimento, il suo partito e la sua organizzazione. Con il Pd, cioè con un nuovo e rinnovato Pds, che sia ovviamente presente ma anche con altri partiti e movimenti con l’obiettivo di ricostruire una nuova coalizione di centrosinistra. Ed ecco perché chi guida il nuovo partito della sinistra italiana, a livello nazionale come a livello locale, dovrà avere, come diceva Aldo Moro agli inizi degli anni '60 in un celebre intervento per spiegare il ruolo della Dc nel nuovo centrosinistra, “coscienza di sé e apertura verso gli altri”. Cioè disponibilità al confronto e al dialogo con altri partiti e altre culture ma con una precisa identità politica e culturale. E l’elezione dell’amico Paolo Furia, per fermarsi al Piemonte, interpreta molto bene il “nuovo corso” della sinistra politica a livello nazionale.

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