Esecuzione rimandata

All’inizio della settimana un evento ha fatto improvvisamente guadagnare un giorno di vita ad alcuni esseri viventi. Una grazia di appena 24 ore, molto breve ma che generosamente ha rinviato il doloroso “corridoio della Morte” verso lo scannatoio meccanico a quegli animali.

Cruento quanto inevitabile destino, soltanto posticipato: probabilmente mentre redigo queste righe quegli esseri sono già stati spaccati in due e appesi a un gancio da macelleria, in attesa di ulteriore dissezione per finire poi sulla nostra tavola (magari secondo le ricette degli chef-star televisivi).

L’occupazione del mattatoio di Torino ad opera di un centinaio di militanti animalisti europei ha messo in luce uno dei tanti macabri paradossi di questa società. La nostra città possiede un mattatoio, dato di cui molti torinesi non sono a conoscenza: un luogo misterioso, situato in via Traves, dove quotidianamente vengono uccisi tantissimi esseri viventi di diverse specie.

Molti consumatori hanno scoperto, grazie a quei giovani militanti, lo spietato metodo produttivo che ha permesso loro di consumare la fettina, oppure l’arrosto di maiale: di certo un piccolo shock ha colpito le persone maggiormente sensibili. Pochi individui sono abituati infatti a chiedersi come il cibo giunga ogni giorno sui piatti pronto per essere divorato: il tempo è sempre terribilmente scarso per valutare se il prodotto consegnato alla cassiera provenga da Paesi in cui vige lo sfruttamento di chi lavora la terra, oppure da mattatoi organizzati per lo sterminio di massa.

Il Tg regionale, purtroppo non sempre attento a quanto accade sul territorio, ha messo in onda un servizio giornalistico sul blitz animalista, dedicando alcuni minuti alla raccolta delle testimonianze e delle ragioni dei giovani contestatori internazionali (ora denunciati e a rischio di processo).

Il reportage si è chiuso con alcune inquadrature ritraenti le vacche (scampate alla forca) fatte risalire sugli autocarri per un imprevisto rientro nelle stalle da cui erano partite all’alba. Tra un asse e l’altro delle sponde racchiudenti gli animali è stato possibile vedere i loro musi: spiccavano i grandi occhi spalancati alla ricerca della fonte da cui giungeva quello strano rumore fatto di grida e cariche della Polizia.

Non riesco a togliermi dalla mente quegli occhi, gli stessi che avranno già affrontato la fila in attesa di un colpo in testa dopo aver visto la morte degli animali già entrati nello scannatoio. Occhi pieni di ingenuità, innocenza di esseri non consapevoli di quanto li aspettava quel giorno e delle ragioni per cui un gruppo di umani veniva arrestato da altri uomini mentre loro tornavano a casa: un’ingiusta pena capitale slittata di sole poche ore.

Siamo cresciuti e diventati adulti nella convinzione di essere la specie suprema grazie all’intelligenza e alle dita prensili di cui ci ha dotati la Natura. Tutto il resto è a nostro servizio, e siamo legittimati a prendere dal pianeta quello che ci occorre, anche più di quanto necessario per vivere. I peggiori predatori della Terra guidano auto, usano il cellulare e a volte (se emarginati) chiedono l’elemosina all’angolo delle strade diventando così cacciagione a loro volta.

Un sistema depredatorio su cui si arricchiscono altri umani senza scrupoli, i quali si impossessano di campi coltivabili, risorse minerarie, piantagioni, cibo, acqua e animali: individui devoti al solo denaro e pronti a sfruttare ogni cosa nonché a creare bisogni indotti, così da aumentare il proprio giro di affari. Un meccanismo devastante che contrappone il forte al debole, ossia i grandi trasformatori di materia prima al Creato.

In tal modo interi popoli non hanno acqua, non hanno cibo o lavorano per pochi spiccioli. Gli abitanti delle baraccopoli, poste ai margini delle metropoli, spesso vivono scavando negli immondezzai alla ricerca dei rifiuti prodotti da chi al contrario ha molto. Da una parte le ville e la barche di lusso, dall’altra gli indigenti che pagano i malavitosi per cercare di che vivere nell’immensa discarica di Nairobi: il grande mattatoio accoglie tutti gli esseri indifesi al suo interno, senza alcuna distinzione di specie.

Pochi divorano le risorse collettive, e il risultato di un così smisurato egoismo è sotto gli occhi di tutti: depauperamento delle risorse, miseria diffusa, migrazione di massa e insensata estinzione di specie animali. Il pianeta muore nella disattenzione generale, soprattutto di chi è vittima e allo stesso tempo carnefice di se stesso.

I consumatori avrebbero invece il potere di fermare tutto questo, compreso il lavoro a cottimo di mattatoi e allevamenti intensivi. Con un impegno minimo sarebbe possibile rivoluzionare profondamente il sistema, favorendo la ridistribuzione della ricchezza e salvando una gran quantità di esseri viventi dalla carneficina: un piccolo sforzo generato dal “sapere”, dalla coscienza ambientale e dall’informazione.

Una soluzione risiede nel consumo consapevole, evitando sprechi e favorendo al contempo la solidarietà insieme al rispetto per la Vita altrui: quella umana, combattendo fame e sfruttamento; quella animale, mettendo fine al crudele massacro in atto.

Molti telespettatori tra coloro che hanno visto il servizio trasmesso dal Tg regionale si saranno certamente lasciati andare all’ironia guardando quei giovani impegnati sin dalla notte a fermare il mattatoio: un’ironia frutto di una profonda ignoranza su cosa significhi essere parte del pianeta Terra. Un sarcasmo impotente, però, nel tenere a freno un dubbio: “E se quei ragazzi avessero ragione?”.  

print_icon