E ora facciamo (il) centro

È inutile aggirare il tema o negare ciò che è capitato realmente. Con la bella elezione popolare di Nicola Zingaretti a segretario nazionale del Partito democratico è ritornata in Italia la sinistra. O meglio, la sinistra c’è sempre stata ma è tornato in sella il grande partito della sinistra italiana. Adesso si può dire tranquillamente, e senza correre il rischio di essere smentiti, che con l’elezione di Zingaretti si è raggiunto il miglior risultato della lunga e travagliata tradizione del Pci/Pds/Ds/Pd. Del resto, sarebbe inutile fingere di nascondere la realtà. È lo stesso Zingaretti, giustamente e coerentemente, a sostenere che con la sua elezione a leader del Pd “la sinistra è ritornata protagonista”. Ha ragione, la sinistra è ritornata protagonista. E anche per questo partito si chiude una fase che, com’è ovvio, non poteva durare in eterno di fronte al rapido cambiamento della politica italiana. Un cambiamento che archivia definitivamente il renzismo e tutto ciò che ha rappresentato nella storia del Pd in questi ultimi cinque anni. Un progetto politico che, è sempre bene non dimenticarlo, è stato approvato e condiviso dalla stragrande maggioranza della nomenclatura del Pd. Tanto a livello nazionale quanto a livello locale, salvo poi abbandonare il “capo” appena il vento soffia dall’altra parte. Ma questa, come sappiamo, è la regola non l’eccezione nella politica italiana. E non solo di quella italiana.

Ora, al di là della indubbia svolta a sinistra del Pd e la liquidazione irreversibile del progetto renziano, il risultato del 3 marzo invoca e spinge alla costruzione di un polo di “centro”. Un progetto politico auspicato, ormai, non solo da molti opinionisti e commentatori su vari organi di informazione - e non affatto riconducibili a quell’area politica - ma che si rafforza dopo le primarie del Pd. Un progetto che sappia recuperare una “politica di centro” e una “cultura di centro” che nel nostro Paese sono sempre stati decisivi e determinanti nella costruzione dei vari equilibri politici.

Del resto, si tratta di un progetto politico che ha saputo dispiegare negli anni alcune caratteristiche che sono quanto mai attuali e pertinenti nell’attuale contesto politico: dal rifiuto della radicalizzazione della scontro politico alla centralità della cultura della mediazione; da una spiccata cultura di governo al rispetto delle istituzioni; dall’autorevolezza della sua classe dirigente alla capacità di saper comporre gli interessi divergenti; dalla declinazione di un “riformismo temperato” alla necessità di rappresentare settori sociali e porzioni di elettorato che non si riconoscono nella contrapposizione frontale tra la destra e la sinistra. Che un tempo si definivano gli “opposti estremismi”.

Ecco, adesso serve realmente un “centro politico”. Un centro, però, che sia plurale e che non coincida con la cultura e la tradizione del cattolicesimo politico, democratico e sociale del nostro paese. Anche, come ovvio, ma non solo. Attorno a questa scommessa e a questa sfida politica non si gioca solo il futuro di un’area culturale o di un semplice posizionamento di potere. In gioco ci sono la qualità della nostra democrazia e il futuro delle nostre istituzioni. Oltreché la valenza di un riformismo democratico e di governo. Per questi motivi, e soprattutto dopo la svolta a sinistra - finalmente - del Pd, è necessario far scendere in campo una ricetta politica altrettanto importante per il futuro governo del nostro Paese.

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