VERSO IL VOTO

Una "vittoria mutilata", Chiamparino ci crede

La strategia del governatore è chiara. Il Pd è una zavorra, le listarelle sono d'immagine, la sola possibilità per strappare un secondo mandato è quella di puntare su di sé. Anche a costo di privarsi di una maggioranza futura, la cosiddetta "anatra zoppa"

Meglio azzoppato che morto. Anche a costo di sacrificare un po’ di carne (politica) da cannone: evitare la disfatta ha il suo prezzo. Come dar torto a Sergio Chiamparino se, a poco più di un mese dalle elezioni, ha deciso di puntare tutto su di sé, facendo leva su notorietà, credibilità e autorevolezza acquisite nel corso di una lunga e brillante carriera, smarcandosi da un Pd che rischia di trascinarlo nella polvere. Per questo, raccontano dall’entourage, in verità sempre più intimo e ristretto, il governatore ha iniziato ad accarezzare l’idea di vestire le piume dell’“anatra zoppa”, forse l’unica prospettiva con qualche possibilità di uscire vincitore dalle urne del 26 maggio. Lui confermato al vertice della Regione sull’onda di un plebiscito personale, seppur privo di maggioranza. Chissà.

Certo, sulla carta è un’eventualità nient’affatto fantasiosa, anche se recuperare il gap che al momento lo separa dal concorrente più forte, il candidato del centrodestra Alberto Cirio, pare un’impresa improba, al limite della mission impossible. Trica e branca, facendo una media dei sondaggi più o meno attendibili che circolano in questi giorni, dovrebbe riuscire a colmare un 6%, suppergiù 120mila di voti che il presidente uscente punta a conquistare, da solo o quasi. Con chiara davanti a sé la prospettiva di una vittoria mutilata.

È successo nel Lazio con l’elezione di Nicola Zingaretti, anche se in quel caso la frattura del centrodestra con due candidati a governatore – cosa che non succede in Piemonte – aveva “agevolato” colui che sarebbe poi diventato il segretario del Pd. Un aiuto che, tuttavia, non era bastato a dotarlo di una maggioranza uscita dal voto e che si sarebbe trovata soltanto dopo. Un “dopo” che, certamente, non preoccuperebbe il Chiampa, la cui abilità nel tessere rapporti e rammendare situazioni anche complesse è nota da tempo. Lo preoccupa, semmai, la necessità di accrescere il suo consenso personale, lasciando quanto più possibile in ombra il Partito democratico, relegato ormai alla stregua di una bad company di una coalizione in cui è assai più conveniente mettere in mostra liste e listarelle, foss’anche abborracciate e frutto di alchimie da retrobottega. Fanno (più) immagine anche se rastrellano pochi voti. Ecco perché per la remuntada l’attuale presidente pare affidarsi alla sua persona, a un appeal in grado di portargli i consensi di coloro che sono disposti a votare lui, al di là del centrosinistra.

Siamo ai limiti della fantapolitica, ma visti alcuni precedenti, e con l’incognita di quanto peseranno i Cinquestelle, oggi accreditati in una forbice tra il 14 e il 18%, così come quanto si smuoverà un elettorato astensionista e indeciso, anche la vittoria mutilata di Chiamparino va messa nel novero delle eventualità.

Quel che lui ha messo in chiaro, senza neppure il bisogno di dirlo, è la considerazione del “suo” partito in relazione allo sforzo per ridurre la distanza dall’europarlamentare di Forza Italia: confinare il Pd a tre posti nel listino del presidente (che Chiamparino, al contrario del suo avversario, ha interpretato nel senso letterale e secondo quanto prevede la legge, rivendicando a sé e non lasciando ad altri la composizione) non può che significare un “oscuramento”, una cautelare messa in ombra di una forza politica, un brand che sa non potergli portare quel quid in più necessario, anzi può rischiare di farglielo perdere.

Un Chiamparino, quindi, che punta più sulle liste civiche direttamente riconducibili a lui, così come punta a quel suo gradimento personale in grado di aumentare ancora, tenendo quanto più distinta (e forse anche un po' distante) la sua immagine da quella di un partito che la nuova segreteria nazionale, così come quella regionale, non ha certo tolto dall’affanno e dalle difficoltà di ripresa.

Pitost che niente, l’è mei pitost e allora piuttosto che non provare a prenderli con i partiti, quei voti, meglio cercare di conquistarli come candidato presidente. E non si tratta nemmeno di far conto sul voto disgiunto – ininfluente nel computo finale, giacché è praticato da una piccolissima parte dell’elettorato – quanto di presentarsi al giudizio dei piemontesi con la faccia pulita di chi ha svolto con coscienza e responsabilità il proprio compito. “Ho ridato dignità a un’istituzione finita nel discredito” tra scandali sulla sanità (in vero poi assai ridimensionati) e scontrini di Rimborsopoli, rivendica Chiamparino evitando di toccare il tasto dolente delle firme false che pure hanno lambito il centrosinistra. “Ho rimesso in sesto i conti di una Regione di fatto commissariata”, aggiunge capitalizzando un piano di risanamento le cui fondamenta sono state messe dal vituperato predecessore Roberto Cota e poi condotto con abnegazione e pugno fermo dal suo braccio destro Aldo Reschigna. Il progetto del Parco della Salute, pur tra mille inciampi (e arroganze nella gestione), ha mosso i primi concreti passi. Non è poco, sarebbe stolto non riconoscerlo.

Altre medaglie da appuntarsi sul petto non ve ne sono però molte: una giunta mediamente modesta e soprattutto lenta nel cogliere i processi e altrettanto indolente nel proporre soluzioni non ha certo aiutato a caratterizzare la sua legislatura con un’impronta di dinamismo e di visione. Per tacere del caso Finpiemonte che al di là dello strascico giudiziario – anche se l’arresto di un presidente da lui fortemente voluto e storicamente chiampariniano non potrà non avere ripercussioni politiche – ha messo in evidenza l’inadeguatezza dell’azione amministrativa.

La sua natura di single politico potrebbe giovare a Chiamparino, sottraendolo dal bilancio complessivo di cinque anni non propriamente memorabili. E, forse, gli verrà pure perdonata la grave indolenza mostrata nel (non) mettere mano al rinnovamento e al ricambio generazionale di un ceto politico, quello di centrosinistra, vecchio, stanco e asfittico, ma così funzionale a Chiamparino. La fortuna, finora, gli ha sorriso.

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