I festival di Orwell

Si è inaugurata ieri la nona edizione di Traffic, rassegna musicale torinese di grande successo, che quest'anno ha dovuto ridurre parzialmente il programma per far fronte alle difficoltà economiche che in questi tempi di crisi hanno colpito i vari sponsor.

 

Questi sponsor sono un mix di soggetti pubblici, semi-pubblici e privati. Qui si sostiene che, per mille ragioni, queste iniziative dovrebbero reggersi interamente sul contributo dei privati, ma nonostante la crisi le istituzioni insistono a volerle finanziare. Per un po', come aveva rivelato Lo Spiffero, era sembrato che quest'anno il contributo della Regione potesse saltare, e invece purtroppo (sì, purtroppo), com'era prevedibile, anche quest'anno l'obolo è arrivato.

 

A questo punto, sembra davvero che ci vorrà la bancarotta perché i nostri politici si decidano finalmente ad adottare un modello diverso: la "sola" crisi, per quanto grave, non è evidentemente un campanello d'allarme sufficiente a cambiare registro.

 

Almeno, però, ci piacerebbe non essere presi in giro. Già, perché, alla luce del sostanzioso contributo pubblico ricevuto, è davvero una presa in giro che il nome completo di Traffic sia "Traffic Torino Free Festival", e che sul relativo sito ci si vanti di aver «difeso e preservato la completa gratuità, prerogativa che – notiamo con piacere – è stata emulata da un altro importante festival musicale cittadino».

 

Gratis - ci si consenta l'espressione - una beata fava! Per la quota di finanziamento pubblico che riceve (apparentemente determinante, visto che si ventilava lo stop se il contributo regionale fosse stato effettivamente tagliato), Traffic è gratis come sono gratis i viaggi o l'invio della posta per i parlamentari, o gli iPad dei parlamentari europei, o i computer, i buoni pasto, le spese telefoniche, i biglietti a teatro, le copie dei giornali e la miriade di altri benefit di cui godono i politici di ogni livello e i loro amici nelle società pubbliche e parapubbliche: tutti privilegi gratuiti per chi li riceve, ma in realtà pagati a suon di tasse da noi contribuenti.

 

Il fatto che Traffic sia destinato alla g-g-g-ente e ai g-g-g-iovani non cambia la sostanza: definirlo gratis rimane un tipico esempio di neolingua, quel linguaggio coniato dal governo dispotico del 1984 di Orwell, in cui una parola acquisisce un significato contrario a quello comune, al fine di mettere in atto un sistematico lavaggio del cervello della popolazione: secondo il noto motto, «la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l'ignoranza è forza». Se Orwell visitasse oggi Torino, aggiungerebbe: «i festival pagati dal contribuente sono un "free festival"».

 

Poiché sospettiamo che continueranno anche a prenderci in giro, seguitando a chiamare gratis quel che gratis non è, avanziamo un'ulteriore proposta che ciascun ente locale di buona volontà potrebbe fare propria, senza necessità che arrivi una legge nazionale ad imporlo (legge che non arriverà mai): perché non stabilire che i siti internet, ma io direi anche tutte le pubblicità, manifesti stradali compresi, delle varie manifestazioni che ricevono anche un solo euro da un soggetto pubblico (partecipate come Iren comprese) debbono indicare chiaramente a quanto ammonta il contributo pubblico ricevuto?

 

Raramente pensiamo che ci sia bisogno di nuove leggi o regolamenti: l'assoluta urgenza è toglierne di mezzo il più possibile. Ma questa piccola regola, a costo zero, faciliterebbe enormemente il compito di controllo esercitato dalla stampa e dai cittadini. Più volte, infatti, capita di chiedersi quanti euro stiano dietro il bollino del Comune, della Provincia, della Regione o delle partecipate sui vari Torino Jazz Festival, Mito SettembreMusica, Cenerentola in tv, Biennali Democrazia e Legalità, appunto Traffic, e via contribuendo. Ma se non fosse per l'opera meritoria di organi d'informazione come Lo Spiffero, molto spesso non riusciremmo a saperlo. Spulciare tra le pieghe dei bilanci degli enti pubblici è molto difficile anche per addetti ai lavori, richiede molto tempo, e comunque non sempre si riesce a trovare quel che si cerca.

 

Visto che si tratta di soldi nostri, allora, diano la possibilità a ciascuno di noi di sapere dove sono finiti, con un semplice clic o - meglio ancora - anche solo guardando la pubblicità di un evento finanziato con quei nostri soldi.

 

A quel punto, continuino pure a dire che tutti questi eventi sono gratis: vediamo se in tanti, facendo i conti di quanti loro soldi sono stati spesi per organizzarli, ci cascheranno ancora, e se quando pagheranno l'IMU o le varie addizionali non si faranno due conti, e non si diranno che in fondo, almeno di questi tempi, meglio un concerto "gratis" in meno, ma almeno arrivare a fine mese!

 

Cose inaudite.

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