Il panino da casa non è un diritto
13:17 Martedì 30 Luglio 2019La Cassazione dice no all'autorefezione, ribaltando la sentenza del 2016 del Tribunale d'Appello di Torino. Il Comune: "Pronti a supportare scuole e famiglie"
Il panino da casa non è un diritto e quindi gli studenti delle scuole elementari e medie non potranno portarsi il pasto da casa, ma dovranno usufruire della mensa scolastica. Lo ha stabilito la Cassazione: “Un diritto soggettivo perfetto e incondizionato all’autorefezione individuale, nell’orario della mensa e nei locali scolastici, non è configurabile”, si legge nella sentenza depositata oggi, con cui le sezioni unite civili della Corte si sono pronunciate sulla vicenda che era stata sollevata da alcuni genitori a Torino.
La Suprema Corte ribalta dunque la sentenza della Corte d’Appello di Torino (la numero 1049/2016) che aveva affermato la sussistenza, alla luce delle norme vigenti e dei principi costituzionali in tema di diritto all’istruzione, all’educazione e all’autodeterminazione in tema di scelte alimentari, di diritti soggettivi dei genitori degli alunni delle scuole dell’obbligo, sia la scelta per i propri figli tra il servizio di ristorazione scolastica ed il pasto portato da casa, sia il relativo consumo nei locali della scuola nel medesimo orario del servizio di ristorazione. “Alla luce del nuovo pronunciamento delle Sezioni Unite” dichiara l’assessora all’istruzione Antonietta Di Martino - l’Amministrazione procederà a supportare le famiglie e le scuole nelle prossime delicate fasi organizzative che conseguono a questo pronunciamento”.
Il caso si riferisce a un contenzioso tra il Comune di Torino e Miur e un nutrito gruppo di genitori. In primo grado, il tribunale aveva dato ragione all'amministrazione, ma la Corte d’Appello di Torino ha rovesciato il verdetto, affermando che i genitori possono scegliere il tipo di pasto, ma non dettare “le modalità pratiche” e organizzative, dove cioè consumarlo, anche perché ci sono da valutare degli aspetti igienico/sanitari da valutare. “L’istituzione scolastica - sottolineano le Sezioni Unite della Cassazione, dando ragione a Comune e Ministero sulla libertà delle scuole di organizzare il servizio mensa - non è un luogo dove si esercitano liberamente i diritti individuali degli alunni né il rapporto con l'utenza è connotato in termini meramente negoziali, ma piuttosto è un luogo dove lo sviluppo della personalità dei singoli alunni e la valorizzazione delle diversità individuali devono realizzarsi nei limiti di compatibilità con gli interessi degli altri alunni e della comunità”, con “regole di comportamento” e “doveri cui gli alunni sono tenuti”, con “reciproco rispetto, condivisione e tolleranza”. Peraltro, spiegano i giudici, “i genitori sono tenuti anch’essi, nei confronti dei genitori degli alunni portatori di interessi contrapposti, all'adempimento dei doveri di solidarietà sociale, oltre che economica”. E la questione posta “non è comparabile”, come sostenuto dai genitori, con la scelta di non avvalersi dell’insegnamento di religione. In conclusione la Suprema Corte, formula un principio di diritto, secondo cui "un diritto soggettivo e incondizionato all’autorefezione individuale, nell’orario della mensa e nei locali scolastici, non è configurabile” e i genitori degli alunni non possono rivolgersi al giudice per “influire sulle scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa, rimesse all’autonomia organizzativa” delle scuole.
“La nozione di istruzione, soprattutto nelle classi elementari e medie, non coincide con la sola attività di insegnamento, ma comprende anche il momento della formazione che si realizza mediante lo svolgimento di attività didattiche ed educative, tra le quali l’erogazione del pasto è un momento importante”. È un passaggio della sentenza con cui la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d'Appello di Torino che consentiva di portare a scuola il pranzo preparato a casa. “Il servizio mensa - sottolineano - è comunque a domanda individuale, facoltativo per gli utenti e necessario a garantire lo svolgimento delle attività educative e didattiche, essendo strumentale all'attuazione dei diritto all'istruzione obbligatoria e gratuita per almeno otto anni”.