Due Matteo di troppo

Come sempre, da almeno un anno, tutti i riflettori sono puntati su di Lui. È stata sua la ribalta quando ha impedito alle navi cariche di sofferenza l’attracco nei nostri porti, così come è riuscito ad attirare lo sguardo divertito di tutta l’opinione pubblica mettendo musica, per i frequentatori della spiaggia esclusiva di Papeete. Vita e Morte sono solo pretesti utili a mettersi in mostra.

Il ministro Salvini ha costantemente strappato la scena al premier Conte e continua a farlo pure nel momento drammatico della crisi di governo, dal lui stesso scatenata senza apparente preavviso alcuno. Il volto del lombardo appare continuamente sui media (tutti protesi a coccolarlo e al contempo solerti nel definire inutili i Cinque Stelle), invadendo con il suo presenzialismo le competenze e i ruoli altrui (cosa fastidiosa in politica come ovunque).

Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio dei Ministri, ha dovuto subire anche questa volta le azioni isterico-narcisiste dei suoi vice, concedendosi però la soddisfazione di organizzare una conferenza stampa per illustrare quanto avvenuto durante il colloquio tenutosi con il leader leghista. Il capo del governo, abituato alla parte di ballerina di fila, ha finalmente mostrato alle telecamere grinta e classe, togliendosi alcuni sassolini dalla scarpa con grande flemma di stampo britannico.  

Il Primo ministro ha voluto narrare ai telespettatori la situazione politica reale in cui è maturata la morte del suo esecutivo, e non ha avuto titubanze nel riportare alla radice della rottura con la Lega (così come dipinta dal suo ministro in fuga) il tentativo di capitalizzare con il voto i sondaggi favorevoli al partito del Nord. Conte infine ha voluto sottolineare l’opera svolta dal suo governo che “Ha lavorato e ancora lavora a ritmi serrati e non va in spiaggia” (ogni riferimento al segretario della Lega-nonché ministro della Repubblica- è puramente casuale).

Quanta ingenuità ha dimostrato il premier nel non leggere le tante manovre di avvicinamento al traguardo finale compiute dalla componente sovranista dell’esecutivo. Malgrado le ripetute dichiarazioni amorevoli dispensate dal vertice degli Interni nei confronti di Di Maio, lusinghe somministrate senza sosta sin dal luglio 2018, era facile sin da subito comprendere la vera strategia padana: dare il massimo della visibilità possibile a Salvini, approvare le misure demagogico-populiste nel nome della sicurezza per poi andare alle urne puntando direttamente alla Presidenza del Consiglio.

Durante un solo anno di governo, il Matteo padano ha fatto di tutto per emergere: ha insultato pesantemente gli avversari insieme a chiunque osasse contestarlo; ha quasi dichiarato guerra alla Francia (in compagnia del collega Di Maio); ha offerto infinite sponde a CasaPound sui rom e i migranti, infine ha convocato le parti sociali per discutere la prossima manovra finanziaria (fungendo già da capo dell’esecutivo). Il vicario degli Interni è stato capace nel fare passare costantemente la sua linea politica nel Consiglio dei Ministri, sino a condizionare pesantemente gli stessi provvedimenti a firma Cinque Stelle (comprese le invasive condizioni attuative poste al reddito di cittadinanza).

Dulcis in fundo sullo scatto finale il segretario leghista ha condotto abilmente la maggioranza ad approvare il repressivo decreto sicurezza, impedendo invero qualsiasi provvedimento sanzionatorio del ministro Danilo Toninelli nei riguardi della famiglia Benetton (Autostrade Italia trova sempre qualche buon alleato nei momenti difficili).

In sintesi è sconcertante l’ingenuità, o la malafede, dei Cinque Stelle, soprattutto alla luce del dato che la Lega non è mai stata contro le grandi opere, ad iniziare dal Tav. È infatti lontano nel tempo l’imbarazzo in cui caddero alcuni sindaci del Carroccio dell’Alta Valsusa quando, già nel 2005, furono sconfessati e obbligati a un repentino “dietro front” dal loro partito all’indomani della partecipazione attiva alle tante marce anti-Alta Velocità.

È facile dubitare che al momento della stipula del contratto di avvio del patto giallo-verde, Di Maio non fosse a conoscenza delle posizioni leghiste in merito alla Torino-Lione. Una lampante conferma del vecchio adagio: coloro che si dichiarano non di Destra e neppure di Sinistra sono in realtà profondamente di Destra, ma non lo vogliono ammettere pubblicamente (pur dimostrandolo con le loro scelte politiche).

Salvini ha usato e gettato via come pezze da piedi il Movimento Cinque Stelle, avviando una crisi di non facile soluzione. Il leader politico grillino reagisce alla situazione inattesa con fare disperato, ripetendo come un noioso e inutile mantra il suo slogan “identitario” alla vigilia delle probabili nuove elezioni: “Votate la riduzione dei parlamentari”. Misura di puro stampo demagogico. Un risparmio di spesa pubblica ottimizzabile ancor più portando a 10 i parlamentari, e delegando tutta l’azione politica a un uomo forte (il Re oppure un ritrovato Duce) alla faccia di Costituzione e Democrazia partecipata.

Di Maio affida a una misura sostanzialmente antidemocratica (riduce sensibilmente la rappresentanza degli elettori) il futuro del suo movimento politico, e nei rari momenti in cui non pensa a come liquidare i parlamentari nega ogni trattativa a Renzi, mettendo così l’ex segretario democratico nell’angolo (di certo leader inaffidabile e voltagabbana, ma eticamente non peggiore di un ex alleato sovranista e vagamente xenofobo).

Il Re è nudo e questa volta anche il popolo ha perso le sue vesti: sospeso nel vuoto e aggrappato disperatamente a un’infida corda fatta di pericolosi nazionalismi e crescente povertà.

print_icon