Democrazia nelle sabbie mobili

“Da giovane ero in Lotta Continua, ho sempre votato comunista, ma oggi spero solamente che al più presto arrivi Salvini a capo del governo”. In questi ultimi mesi è facile rimanere sconcertati udendo affermazioni di sostegno verso il leader leghista provenienti da ex militanti della Sinistra comunista.

È la dimostrazione ultima del solito effetto “mosche impazzite chiuse in un bicchiere” cha da anni caratterizza le emozioni politiche di chi ha sostenuto convintamente i movimenti nati dalle ceneri del Pci.

Il popolo rosso innanzi alle innumerevoli delusioni causate dalle scellerate posizioni dei dirigenti nazionali e locali, i drammatici quadri di partito emersi nel periodo post Berlinguer, ha reagito in maniera scomposta quanto disperata accanendosi sulla scheda elettorale nel segreto delle urne: astensione perenne, sostegno a Beppe Grillo e in ultimo adesione acritica all’antisistema del partito padano. In sintesi, gli operai si affidano alla Fiom per la loro difesa sindacale ma votano Lega.

Dal finire degli anni ’80 tutte le riunioni dei circoli territoriali di area comunista terminano con una forte autocritica collettiva incentrata sull’incapacità di comunicare con l’esterno. La difficoltà cronica di parlare alla gente era regolarmente individuata come la principale causa delle sconfitte accumulate anno dopo anno.

In realtà, in pochi hanno voluto affrontare le vere ragioni che sanzionavano la continua e inarrestabile emorragia di consensi: in sostanza non essere più in grado di individuare i problemi della quotidianità in capo ai lavoratori e alle loro famiglie. Da questo offuscamento l’emergere di gravi limiti contenuti nella redazione dei programmi di governo, sia centrale che decentrato, assolutamente inidonei nel dare risposte concrete ai cittadini.

Navigando alla cieca tra sogni, utopie, autoreferenzialità e arroganza, le forze della Sinistra hanno perso terreno di continuo a tutto vantaggio di demagoghi professionisti e populisti vari. Molti di coloro che un tempo brandivano con orgoglio le bandiere rosse sono stati affascinati da aggregazioni a dir poco curiose, quali i gruppi indipendentisti (al Nord, come al Sud tra le nostalgie monarchiche borboniche), e le proposte di stampo sovranista in chiave antieuropea.

Il potere costituito ha cotto la frittata a fuoco lento, così da preparare la rottura non traumatica con quel recente passato dalle piazze piene di pugni chiusi sollevati verso il cielo, verso il mondo nuovo. La ricetta che ha consentito di friggere l’aria è stata efficace nel carbonizzare ideali e speranze, insieme a statisti e leader popolari (non populisti), mandando contemporaneamente al macero quelli che una volta erano cervelli funzionanti.

Pagine web inattendibili dal punto di vista giornalistico, in comunella con improvvisati storici e sociologi, inventano quotidianamente verità nuove di zecca da dare in pasto a ignavi elettori. La capacità di lettura critica dei fatti è sparita su tutto il territorio nazionale: gli italiani fanno oggi le loro scelte sulla base di mille “sentito dire” e tramite l’aiuto criminale di opinionisti strappati alla pulizia delle toilette pubbliche (con tutto il rispetto di chi lo fa per mestiere).

I balletti di governo fini all’ingordigia di qualcuno e i repentini cambiamenti strategici di maggioranza non sembrano in grado di garantire la giustizia sociale del Paese, e neppure di riconsegnare un futuro alle giovani generazioni. Di Maio, appena varato il nuovissimo governo bianco-giallo, si è affrettato a dichiarare che la tassa patrimoniale non è prevista nel programma dell’esecutivo “Conte bis”.

La sua è stata una precisazione terribile per le tasche e i diritti degli italiani, poiché tale tassazione trasformata in legge colpirebbe i grandi speculatori della finanza e non le famiglie, le quali al contrario avrebbero tutto da perdere nel caso il parlamento approvasse l’iniqua flat tax (un regalo ai ricchi e una dannazione per la classe medio bassa che in poco tempo vedrebbe svanire anche il servizio pubblico). Eppure lo stesso Di Maio ha condiviso sin dall’inizio la lotta dei gilet gialli francesi: contestatori scesi in piazza all’indomani dell’annuncio di Macron di voler cancellare proprio la tassa dei ricchi (la patrimoniale).

Quindi a quanto pare il nuovo governo Conte non sarà in grado di affrontare i temi della disparità sociale, aprendo in tal modo la strada alla roboante ascesa della Destra estrema (nelle cui file militano nobili, individui ricchi di famiglia e dame snob). I giochi politici dominano la scena, sostenuti esclusivamente dai banali desideri di leader narcisi (come dimostra la scissione di stampo personalistico di Renzi) impermeabili alle grida di aiuto delle classi meno abbienti, dei disoccupati e dei precari.

Lascia invero basiti ascoltare le dichiarazioni in cui il Matteo ex Pd afferma di voler fondare “qualcosa di nuovo e divertente”, buon proposito nel caso si voglia inaugurare una casa per appuntamenti, ma del tutto fuori luogo se questo viene riferito ai delicati meccanismi decisionali del Parlamento (legiferare ridendo non rincuora bensì preoccupa coloro che ancora persistono nel voler esercitare il diritto di voto). Altrettanto inquietano i comizi di Salvini quando emerge il piano leghista para-eversivo che potrebbe rivelarsi geniale: assecondare la nascita di un esecutivo di breve durata per poi stravincere alle elezioni seguenti.

Piani e strategie grezze seppur efficaci, la cui regia è affidata al noto Verdini (oggi quasi suocero del Matteo di Pontida e in passato consigliere di fiducia del Matteo della Leopolda) e soprattutto al grande gruppo di potere che questi rappresenta nelle Istituzioni.

Il pantano su cui si muovono a fatica le istituzioni repubblicane si sta inesorabilmente trasformando in mortali sabbie mobili. Affogare nel fango è questione di un attimo di distrazione collettiva, riemergere è invece impossibile.

La lunga notte della Democrazia è appena iniziata.

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