Torino e il "modello Castellani"

È difficile, molto difficile, in una stagione politica dominata dal trasformismo e dall’assenza di qualsiasi coerenza, tracciare in anticipo un percorso lineare in vista delle prossime elezioni amministrative. Nello specifico, le elezioni per il rinnovo dell’Amministrazione torinese nel 2021.

Innanzitutto perché non sappiamo minimamente quali saranno le forze in campo. Ovvero, quanti partiti nasceranno da oggi in poi e, al contempo, quanti partiti e movimenti scompariranno. Insomma, una geografia politica in continuo mutamento e in perenne evoluzione. Ma, oltre a partiti e movimenti che nascono e muoiono nell’arco di pochi mesi – pensiamo solo al movimento delle “sardine” o di altri gruppi ittici che possono nascere nel frattempo – persiste il tema delle alleanze che, in un contesto trasformistico appunto, mutano a seconda delle convenienze momentanee e dei tatticismi quotidiani.

Insomma, un quadro politico che si evolve di giorno in giorno dove è francamente difficile districare la matassa e tracciare un percorso chiaro, coerente, trasparente e credibile. Ma, al contempo, è proprio in fasi come queste che può emergere quella creatività e quel colpo d’ala che già nel passato ebbe modo di manifestarsi. Mi riferisco, nello specifico, alla stagione che caratterizzò il cosiddetto “modello Castellani”. Un periodo, quello del 1993, che era attraversato da una crisi politica altrettanto forte e profonda. Seppur molto diversa nelle sue modalità concrete. Era la stagione di tangentopoli, della crisi profonda dei partiti, del tramonto delle precedenti appartenenze partitiche e culturali e anche di leader che sino a quel momento erano stati autorevoli e apprezzati punti di riferimento. Lì decollò il “modello Castellani”, frutto dell’intelligenza politica di qualche dirigente politico dell’epoca e, soprattutto, prodotto di un modello politico e culturale destinato a segnare la storia amministrativa di Torino per molti anni. Era un sorta di “alleanza civica e politica” che si fondava su un progetto di sviluppo e di prospettiva della città accompagnato da un gruppo dirigente in parte espressione della politica e in parte proveniente dalla cosiddetta società civile.

Ecco, il percorso che d’ora in poi dovrà essere battuto – sinora del tutto sconosciuto perché politicamente imprevedibile – non potrà non tener conto di quella esperienza che, lo ripeto, dovette anche fare i conti con un contesto politico complicato, difficile e di forte e marcata transizione. Il “modello Castellani”, seppur collocato in quella particolare fase storica della vita della città, non potrà essere frettolosamente archiviato per chi cerca di ricostruire una coalizione “civica e politica”, con un progetto di visione della città aperta, inclusiva, moderna e che guarda al futuro e con un gruppo dirigente che non sia sempre e solo espressione delle solite cordate salottiere e di potere ben note a Torino.

Un percorso politico, quindi, che va affrontato con intelligenza, coraggio e senso di responsabilità. E prendendo spunto anche dal passato che, questa volta come non mai, può tornare utile per orientare la politica torinese e anche piemontese.

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