Il principale azionista italiano, lo Stato

Di recente il ministro Di Maio in uno dei suoi tweet ha affermato che viviamo in una società “frenetica e votata al liberismo sfrenato”. Che siamo una società frenetica è un luogo comune che ci può anche stare anche se sicuramente non riguarda tutti, ma votata al liberismo sfrenato è un qualcosa di veramente fantasioso. Al ministro sarebbe utile far saper qual è il principale azionista della borsa italiana. Gli Agnelli? I Berlusconi? I Benetton? Del Vecchio? Nessuno di loro. In realtà il principale azionista della borsa italiana non è un privato, ma è lo Stato italiano tramite il Tesoro. Sulla capitalizzazione totale della borsa italiana data dalla somma del valore di tutte le azioni quotate, lo stato italiano ne controlla ben il 30%. Una percentuale non da poco per una società che qualcuno definisce liberista. L’elenco delle società controllate è questo qui: Avio, Monte dei Paschi di Siena, Enav, Enel, Eni, Fincantieri, Italgas, Leonardo, Poste Italiane, Rai Way, Saipem, Snam, STMicroelectronics, Terna.

Come si può notare parliamo delle principali società italiane non della panetteria sotto casa. E non è finita. Oltre alle partecipazioni dirette del Tesoro ci sono quelle detenute da Cassa Depositi e Prestiti che sono: Bonifiche Ferraresi, Trevi Finanziaria Industriale, Salini Impregilo e Telecom Italia. E l’ultima per quanto sia una partecipazione di meno del 10% è una di quelle significative in un importante realtà industriale del paese.

In Italia si parla continuamente di liberismo, ma lo stato continua ad espandersi senza sosta. I 5 Stelle vorrebbero togliere le concessioni autostradale ai Benetton e così facendo lo stato imprenditore continuerebbe ad espandersi. Bisogna precisare che le autostrade rimangono di proprietà statale e solo la gestione, dietro un pagamento di un affitto, è di competenza dei privati.

Si potrebbe pensare che la presenza dello stato, si fermi qui, ma se consideriamo anche gli enti locali l’elenco si allunga. Esiste il gruppo delle ex-municipalizzate quotate, società che sono cresciute con acquisizioni e fusioni raggiungendo dimensioni ragguardevoli che fanno capo ad alcuni enti locali. Iniziamo dalla locale Iren controllata dai comuni di Torino, Genova, Reggio Emilia e Parma, e si prosegue con A2a controllata pariteticamente dai comuni di Milano e Brescia e che a sua volta controlla un’altra quotata Acsm-Agam, Acea controllata dal comune di Roma, Hera controllata da un gruppo di comuni dell’Emilia Romagna con capofila il comune di Bologna e Ascopiave controllata da un consorzio di comuni dell’area trevigiana.

E se volessimo essere pignoli, dovremmo aggiungere anche le fondazioni ex-bancarie i cui vertici sono nominati dagli enti locali che continuano ad avere delle piccole partecipazioni nelle varie banche italiane quotate. Gli effetti deleteri di questo connubio fra politica e banca si sono mostrati in maniera eclatante con il fallimento del Monte dei Paschi. Solo con la crisi e le ristrutturazioni di qualche anno fa le fondazioni sono state costrette a lasciare il controllo delle banche. Eppure ancora oggi la Compagnia San Paolo detiene poco meno del 7% del capitale di Banca Intesa, principale banca del paese, risultandone il principale azionista e la milanese fondazione Cariplo continua ad averne poco più del 4%.

Per essere una società in cui domina uno sfrenato liberismo risulta piuttosto curioso che il principale azionista nella borsa italiana sia lo stato. Può essere che la frenesia della società italiana non sia dovuta al liberismo, ma piuttosto alla presenza asfissiante dello stato che con le sue tasse e la sua burocrazia costringe gli individui a correre per poterci fare fronte?

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