Tornano esperienza e buon governo

Lo ammetto, fa un certo effetto ascoltare, leggere e sentire commentatori ed opinionisti sostenere allegramente e disinvoltamente che nella politica contemporanea contano, eccome se contano, il buon governo messo in campo dagli amministratori locali e, soprattutto, l’esperienza politica. Fa un certo effetto leggere e ascoltare questi commenti perché vengono lanciati dagli stessi che per molti anni ci hanno spiegato, nel dettaglio, che la politica non c’entra nulla con la “professionalità” dei politici, che prima il “vaffa day” di Grillo e poi la “rottamazione” di Renzi erano manna dal cielo che andavano praticati subito per bonificare finalmente la politica italiana. E giù insulti e delegittimazioni contro i politici, contro la politica tradizionale, contro i professionisti della politica e contro, com’è ovvio, i partiti. Dopodiché, come tutte le mode insegnano, passata la bufera tutto ciò è destinato a sciogliersi come neve al sole. E, paradossalmente, adesso leggiamo una sequela di riflessioni – dove più o meno chi scrive e chi predica sono sempre gli stessi – legate all’importanza del buon governo, dell’esperienza, della saggezza e anche, addirittura, della stessa professionalità dei politici. Una bestemmia se veniva pronunciata alcuni anni fa quando l’antipolitica era diventata il dogma infallibile per chiunque intendesse avvicinarsi alla politica e alle istituzioni.

È appena sufficiente leggere le chilometriche riflessioni sul voto regionale in Emilia-Romagna – della Calabria, pare di capire, si sorvola sempre senza sapere bene il perché – per rendersi conto di questa profonda inversione politica e culturale. Anzi, chi ieri tesseva l’elogio dell’antipolitica, della rottamazione, dell’azzeramento di tutto ciò che era minimamente riconducibile al passato recente o meno recente, oggi martella sulla necessità della riscoperta di quella politica che affonda le sue radici nel buon governo, nell’esperienza, nella riconoscibilità culturale del candidato e addirittura nel ruolo decisivo dei partiti nel condurre e nell’organizzare le stesse campagne elettorali. Una inversione che, almeno per chi ricorda il prima e il dopo, ti mette in difficoltà e ti imbarazza se vuoi fare polemiche visto che ormai nella società liquida e nel predominio dei social tutto viene archiviato in fretta e dove la memoria storica è solo un optional da cui sbarazzarsi al più presto.

Che dire? Meglio tardi che mai verrebbe da pensare. Ma, visto che si tratta solo di convenienze del momento e non di convinzioni vere e profonde, c’è sempre il sospetto, del tutto fondato e argomentato, che possiamo consolarci oggi in attesa della prossima moda. Che, puntuale come le stagioni meteorologiche, prima o poi arriva. Ma con la certezza che sappiamo, però, sin d’ora che ripartirà la solita litania sui politici ladri e incompetenti, sulla inutilità dei partiti, sulla necessità di spazzare via tutto e, soprattutto, sulla indispensabilità del cambiamento totale e radicale. Quello che abbiamo conosciuto, del resto, dal “vaffa day” in poi e che abbiamo sperimentato cosa ha prodotto in questi anni. Alla prossima.

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