Le nuove sfide per la sinistra

“Non vi è peggior sordo di chi non vuole sentire”. Mettere le mani a tappare orecchie e occhi, come le scimmiette omertose, è utile solo agli stolti impauriti dal dover affrontare la realtà. Un gesto che evidenzia una grave chiusura verso le genti e il mondo, un rifiuto a osservare quanto accade intorno, nonché la testimonianza di una ristrettezza mentale imbarazzante (soprattutto se questa riguarda eletti nelle cariche istituzionali) quanto pericolosa.

L’Emilia-Romagna dovrebbe insegnare molte cose a quella Sinistra italica sempre più simile a uno scolaro riluttante nei confronti di qualsiasi lezione istruttiva. L’ex regione “Rossa”, per antonomasia, dimostra di non firmare mai cambiali in bianco, e gli improvvisi mutamenti di rotta da parte del potere politico generano delusioni che i cittadini dell’ex Stato Pontificio non scordano facilmente.

L’ultra decennale governo democristiano non ha mai trovato terreno fertile in Emilia-Romagna, grazie ai tanti “Peppone” determinati nel contrastare con forza le politiche reazionarie, e a volte nostalgiche, del “Don Camillo” di turno (anche se lo scrittore Guareschi immaginava entrambi i personaggi nella veste di ex partigiani).

In seguito agli infiniti rimescolamenti avvenuti nei tanti gruppi figliati dalla scomparsa del Pci, militanti comunisti e popolazione hanno iniziato a misurarsi dolorosamente con le piaghe infette che avvolgono il potere. Favori alle banche e occupazioni fisiche di cooperative, o società di capitali, hanno certificato la morte degli ideali a tutto vantaggio delle posizioni personali: salire la scala sociale a ogni costo è stato sovente l’unico obiettivo di chi investito dalla fiducia degli elettori.

Non è allora un caso che in quella terra narrata dai nomi stessi dei suoi abitanti (Libero, Loris, Libertario) abbia messo radici un movimento in apparenza innovativo nei suoi scopi e “pulito” eticamente. Donne e uomini radunati sotto bandiere stellate, e convocati in piazza a suon di “Vaffa” e slogan incentrati sull’antipolitica, hanno fatto breccia nelle urne elettorali causando un vero e proprio terremoto politico.

E’ altrettanto normale quanto accaduto in seguito. I pentastellati tradiscono le aspettative, esattamente come prima fecero i Democratici, per cui ai cittadini rimane l’unica alternativa possibile: sostenere l’ultimo partito ancora strutturato sul modello organizzativo leninista, ossia la Lega Nord.

È emblematico il recente caso del delegato sindacale della Cgil immortalato in un selfie al fianco del leader padano: lavoratore licenziato in tronco dalla sua azienda poiché ha inventato un malanno, e quindi chiesto giorni di mutua, al fine di poter seguire il suo mito politico per le vie della propria città.

Tra ossessione verso gli immigrati e intrusive scampanellate al citofono, la maggior parte dei capoluoghi emiliani e romagnoli hanno fiutato l’inganno e la simpatia verso il neonato movimento di protesta, che muoveva i suoi primi passi sulle piazze, è cresciuta esponenzialmente giorno dopo giorno.

Coloro che hanno dato voce alla rinata indignazione collettiva espongono le loro ragioni senza turpiloquio, al contrario del partito padano, e resuscitano idee incentrate sulla solidarietà. Il movimento delle Sardine in pochissimo tempo è uscito dai confini della regione governata da Bonaccini sino a raggiungere con successo molti capoluoghi del Nord e del Sud Italia.

La passione riprende slancio e il cuore (rosso) scopre una rinnovata energia. L’adrenalina si sostituisce agli usurati pacemaker impiantati dai tanti dietrofront ordinati dai segretari della coalizione del Centrosinistra, dagli anni dell’esecutivo Prodi in poi, e nuova linfa sembra scorrere nelle arterie di una visione della società data troppe volte per defunta.

Queste ultime regionali, pari a un corposo seminario di specializzazione, hanno impartito un’importante lezione la cui sintesi si racchiude in poche parole: “La Sinistra torni finalmente a fare la Sinistra, non pensando esclusivamente ai piccoli e meschini interessi di segretari ed eletti”.

Il malcontento dell’elettorato progressista è da lungo tempo sotto gli occhi di tutta la dirigenza erede di Berlinguer, ma questa preferisce ignorarlo e al contempo strizzare l’occhio al super capitalismo globale. La caduta in mano alla Destra del comune di Sesto San Giovanni, un tempo soprannominato la “Stalingrado d’Italia”, avrebbe dovuto suggerire dei cambi di rotta all’élite post-comunista, utili a evitare l’insediamento di un sindaco contrario ad assegnare la cittadinanza onoraria a Liliana Segre. Si è scelto piuttosto di guardare altrove, nutrendosi delle proprie illusioni neoliberiste e aprendo al contempo le porte al ritorno del fascismo.

Lo stesso successo di Forza Italia in Calabria presenta il volto della classica vittoria di Pirro, in un campo di battaglia dove la vera e unica sconfitta è la Democrazia. Esprimere il nuovo Presidente regionale con un’astensione elettorale di circa il 60% si traduce in una figura istituzionale che è espressione di una parte decisamente minoritaria della società e dei suoi cittadini.

Il Partito Democratico, suo malgrado, si è trasformato nell’ultima barriera all’avanzata dei gruppi politici nazionalistici e nostalgici. Zingaretti ha però oggi un alleato sfiancato dalle sconfitte, il M5s, e una Sinistra popolare dalle percentuali di consenso simili a magri prefissi telefonici internazionali.

È ora di togliere le mani poste a chiusura di occhi e orecchie, così da poter tornare a vedere e ascoltare sussurri e grida d’aiuto. Uno scatto d’orgoglio per impedire la svendita dell’Italia (e dei servizi alla persona) fatta nel nome del sovranismo e della supremazia della nazione nel nome di “Dio, Patria e Famiglia”.

Nuove e impegnative sfide si profilano all’orizzonte.

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