Gli intellettuali vadano in fabbrica

All’incirca alle tredici Rai3 trasmette un’interessante trasmissione: Quante storie, mirabilmente condotta sino a un po’ di tempo fa da Corrado Augias e oggi da Giorgio Zanchini. Nei giorni scorsi era ospite Ernesto Galli Della Loggia, intellettuale con un curriculum sterminato, il quale fa un’affermazione giudicante sull’alternanza scuola-lavoro che rende necessario ragionare sul rapporto tra intellettuali e il lavoro, la fabbrica.

Ci sono intellettuali, non tutti per fortuna e a Torino abbiamo ottimi esempi, che non vivono la realtà “normale” del quotidiano e non conoscono il mondo del lavoro e la fabbrica.

Cosa dice il nostro intellettuale? In sintesi che l’alternanza scuola-lavoro non insegna niente e in quell’ambito si potrà fare solo mansioni sussidiari, non potrà che “pulire i posacenere”, perché un organizzazione complessa non ha bisogno di uno studente altrimenti lo assumerebbe.

Bisognerebbe almeno informarlo che nei luoghi di lavoro non si fuma più!!

Anche l’alternanza scuola-lavoro ha avuto le sue degenerazioni nell’utilizzo. Purtroppo nel nostro Bel Paese si tende a discutere dei casi estremi, delle eccezioni anziché della normalità.

Questo strumento che ho vissuto in due modi, da sindacalista nell’utilizzo da parte delle aziende e da Segretario che ha sperimentato questa formula in casa propria grazie a un’eccellente progetto della Cisl di Torino.

Intanto bisogna dire che questo strumento non è finalizzato a inserire lo studente nell’azienda in cui svolge l’alternanza ma ha lo scopo di fargli conoscere come funziona il mondo del lavoro e un’organizzazione complessa quale può essere un’azienda.

In Fim il primo approccio era spiegare cos’è il sindacato, dov’eri, ovvero la visita al palazzo e come funzionava, cioè la sua organizzazione aziendale e come ci si comporta rispettando regole e prassi organizzative “aziendali”.

Sicuramente è necessario che questa esperienza sia anche legata a una qualche attività lavorativa specifica per l’alternanza scuola-lavoro; ovviamente lo studente non può essere inserito in un processo produttivo perché se ne perderebbe la finalità diventando una mera prestazione, degenerando lo strumento.

Ma agli intellettuali “inorganici” al mondo del lavoro bisognerebbe spiegare, provo in un italiano semplice, che l’esperienza dell’alternanza è proprio finalizzato a far conoscere a uno studente, vissuto dentro un sistema scolastico che è profondamente diverso dal mondo complesso di un’organizzazione aziendale, come si vive dentro un’azienda, le sue regole, le relazioni, i rapporti sociali specifici di un’azienda, le prassi formali e informali del mondo aziendale. Lavorare in Skf è diverso da Fca come è diverso da una Pmi.

Insomma, è fare esperienza, conoscere, prima di provare a entrarci, un mondo sconosciuto e completamente diverso dalla scuola.

È l’unico strumento, certamente no. Migliorabile, certamente sì.

Mentre ascoltavo il Galli Della Loggia mi chiedevo: ma perché da studente alle scuole professionali la prima cosa che mi hanno insegnato, in officina, era tirar di lima su un pezzo di ferro a C sino a farlo diventare piano verificandolo con il blu di Prussia sul banco di riscontro? Quel lavoro noioso, intervallato dal mettere il blu di Prussia nelle tasche della tuta dei compagni, non mi sarebbe servito a nulla nel lavoro, mi serviva saper imparare a usare il tornio!

Quel tirar di lima ti insegna le regole del convivere insieme agli altri in un’organizzazione complessa, a rispettare il lavoro, a tendere a voler crescere. Poi, sarebbe bene che una volta entrati nel mondo del lavoro si diventi sindacalisti per migliorarlo e tutelarlo, quel lavoro!

Abbiamo bisogno di intellettuali organici, che scrivano, insegnino, spieghino ai propri allievi che il mondo del lavoro è il compimento e la realizzazione di ciò che studiano, che facciano conoscere le imprese.

Certo serve costruire le fondamenta, su cui si poggia ogni sistema; e le fondamenta non ci sono se abbiamo laureati che non sanno scrivere in italiano, dov’è il caro e rimpianto dettato nella scuola dell’obbligo?

Negli anni ’90, lavoravo in Alenia, quando arrivò l’utilizzo delle mail in fabbrica molti ingegneri teorizzavano che bisognava scrivere velocemente senza curarsi dell’italiano, anzi scrivere sgrammaticato era presupposto di scrivere come si parla. Pensandoci, era una tesi che si basava forse sul fatto che non avevano basi di italiano. Oggi puoi essere un genio dell’informatica ma un asino in grammatica. Niente di più sbagliato.

Nel 1945, appena dopo la liberazione, Davide Lajolo allora direttore dell’Unità chiese ad alcuni intellettuali, tra cui Cesare Pavese, di scrivere dei corsivi sul giornale in maniera chiara e comprensibile per i lettori con l’obiettivo di far capire i grandi cambiamenti in corso a tutti gli strati sociali a partire da quelli più poveri e senza strumenti per conoscere.

Abbiamo bisogno di intellettuali che spieghino la dignità del lavoro, del lavoro manuale, della professionalità e della consapevolezza che saper essere un bravo tornitore a controllo numerico vale tanto quanto un ingegnere. Oggi, nell’era dei big data, chi ha ancora più chance nel mercato del lavoro rimane l’operaio specializzato.

L’impegno necessario di un intellettuale umanista è insegnare ai suoi allievi che qualunque lavoro ha una sua dignità, che va difesa insieme al Sindacato, e una sua professionalità. Sicuramente farebbe molto bene anche a questi intellettuali, ogni tanto, un tuffo in un’officina, in un ufficio, per guardare, capire, sentirne gli odori, carpirne le relazioni e poi provare a spiegarlo e a raccontarlo.

Purtroppo, sovente, pontificano. Ricordo che qualche giorno dopo l’accordo di Mirafiori, nel gennaio 2011, andai alla trasmissione di Santoro in un testa a testa con Maurizio Landini, allora segretario Fiom, era presente il professor Vattimo che agitando i fogli del testo dell’accordo lo spiegava, ovviamente, “filosoficamente” a modo suo.

Ma quando inviterà un sindacalista metalmeccanico per discutere il suo piano scolastico? 

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