Una società spappolata

La speaker impugna il microfono e guardando verso la telecamera elenca (come da rituale) il numero dei contagiati e quello dei nuovi decessi. Quindi fa una pausa e, dopo aver preso fiato, sfodera un sorriso a 32 denti per annunciare le cifre inerenti i pazienti guariti. Alla giornalista brillano addirittura gli occhi nell’attimo in cui infonde ottimismo a tutti i suoi telespettatori: quello stesso pubblico sommerso per giorni da tonnellate di notizie angoscianti, e ora sollevato grazie alla circolare governativa che invita i commentatori a infondere “serenità”.

Non occorre un titolo di laurea in Scienze della Comunicazione per osservare gli effetti immediati derivati dall’ordine superiore. Improvvisamente i toni da scoop in zona di guerra, in una sorta di gara tra chi procurava maggior panico, hanno ceduto il posto a parole rassicuranti e cariche di speranza.

In un attimo si è passati dalle lunghe dirette effettuate da postazioni fisse, di regola ricavate innanzi ai pronto soccorso lodigiani, agli attuali collegamenti segnati da una sorta di inequivocabile “tranquillismo”. La chiosa finale di coloro che vogliono trasmettere un senso di fiducia verso il futuro ha effetti benefici garantiti: “È deceduto un altro paziente, ma era anziano e con gravi problemi di salute pregressi”.

Il telespettatore medio, afflitto da un modesto egocentrismo mescolato a un pizzico di ipocondria, dopo l’ascolto attraversa due fasi: la prima immediata in cui si gode la notizia pensando “Meno male, ho solo 40 anni e questa volta me la scampo con tutta la famiglia”; la seconda invece viene scandita da attimi di ulteriore riflessione in seguito ai quali realizza come “quegli anziani” possano essere i suoi nonni, i suoi genitori oppure i suoi suoceri e magari anche qualche amico con cui ama conversare.

Il “tranquillismo” si basa quindi sulla divisione della società civile in categorie, sulla selezione di un gruppo da martirizzare a vantaggio del sistema economico. Un metodo tipico quanto antico, risalente agli anni ’20 del secolo scorso, adottato in maniera sinergica da politica e giornalismo. “Non toccherà mai a me, per cui agli altri accada quel che accada”.

A quanto pare rasserenare i mercati è possibile a patto venga ridato il sorriso alle famiglie, specialmente quelle composte da giovani adulti (i consumatori più accaniti), e la stessa cosa occorre fare nei riguardi del comparto turistico a cui l’Italia deve gran parte del suo Pil. In sintesi, oggi bisogna privilegiare gli affari e la salute pubblica viene dopo, in un’ottica ottusa e senza riguardo per il futuro nonché per la crescente spesa sanitaria conseguente.

Da decenni, nel nome del business, la Sanità pubblica viene regolarmente depauperata, privatizzandone i servizi e riducendo i posti letto destinati alle degenze. Scelte che in molti casi si sono dimostrate sciagurate, ma che i media legati alla politica valutano positivamente anche oggi, poiché ribadiscono come “sia possibile contare sul tesoretto dei posti di terapia intensiva in capo ai privati”. Affermazioni prive di qualsiasi considerazione su come quel “tesoretto” sia la concausa dello svuotamento funzionale degli ospedali regionali e universitari.

Il virus è davvero più insidioso di come viene rappresentato, poiché svela improvvisamente tutti i mali del nostro Paese, in una sorta di redde rationem con cui siamo infine chiamati a fare i conti. L’ex presidente Monti in una recentissima intervista accusa le “mance elettorali” quali responsabili della triste situazione che attraversa l’Italia. E purtroppo ha ragione.

Decenni di politiche rette dal vuoto programmatico, dal saccheggio del bene comune, dalla soggezione nei confronti delle proprie clientele hanno letteralmente devastato la nazione, e al contempo hanno consegnato agli italiani una classe politica sempre meno credibile.

In queste ultime due settimane siamo stati spettatori coatti di un teatrino dai contenuti macabri, in cui gli attori protagonisti si sono mossi sul palco convinto di essere grandi artisti, senza la consapevolezza di assomigliare in realtà a dei saltimbanchi dai tratti grotteschi. La classe politica dirigente, negli ultimi decenni, si è divertita a creare veri e propri mostri tramite la manipolazione dell’opinione pubblica e degli strati più deboli della cittadinanza.

Orrende creature occupano infatti ampie porzioni dell’informazione mediatica, come dimostrano i titoli apparsi sulle prime pagine di alcuni quotidiani (Libero, La Verità, Il Giornale): un procurato allarme doloso sul quale la magistratura avrebbe il dovere di fare chiarezza. Creature spaventose reggono anche le sorti della pubblica amministrazione, individui terrificanti sempre pronti a sfruttare qualsiasi situazione (anche le più drammatica) per favorire i propri fini. Sono esempi eclatanti di mostruosità quei presidenti regionali che indossano le mascherine per poi toglierle appena si spengono le telecamere, oppure quelli dediti ad accusare i cinesi di mangiare topi vivi.

Un contesto raccapricciante, all’interno del quale stupisce l’insolito silenzio di Salvini innanzi agli ultimi fatti di cronaca che hanno messo al centro Napoli. Un giovane minorenne minaccia con una pistola giocattolo un carabiniere ventenne per derubarlo, questi reagisce e spara, uccidendolo. I genitori del giovane rapinatore definiscono l’atto del figlio “una ragazzata” mentre i parenti devastano il pronto soccorso dell’ospedale dove è deceduto nel tentativo di essere rianimato. L’ex Ministro degli Interni, sempre pronto a invocare la forca e rilasciare giudizi sommari, tace, valutando forse più utile ai fini elettorali soffiare sulla brace ardente del tema “Coronavirus”.

Ennesimo esempio di una società spappolata, distrutta da una politica affidata soprattutto a illusionisti ciarlatani (non tutta la politica ma una consistente fetta di quella “che conta”) e da un mondo mediatico che da essi prende ordini e disposizioni.

Un pensiero positivo va invece a medici, infermieri e Oss: la vera colonna vertebrale di un’Italia malconcia ma che non smette di lottare nella speranza di una possibile guarigione.  

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