Preparare la "riscossa"

Parlare solo di lavoro in questi giorni e ignorare gli effetti economici che sta avendo e avrà, il Covid19 sembrerebbe voler vivere fuori dalla realtà. Le ulteriori e giuste restrizioni a tutto il Paese ci dicono che solo interventi drastici possono fermare la, ormai, pandemia mondiale.

Le recenti polemiche che giungono dal Veneto soprattutto, dal suo presidente e da una parte di Confindustria fanno capire quanta arretratezza culturale e di visione prospettica vi sia nella classe dirigente del Paese. Sembra quasi che alcuni pensino che in un momento di così tragica crisi ci si possa avvantaggiare rispetto ai concorrenti o che non importi cosa succede purché la mia azienda possa vendere. Trarre comunque profitto sempre e comunque.

Questi atteggiamenti fanno il paio con i giovani che superficialmente continuano a affollare la movida. D’altra parte  trent’anni di individualismo berlusconiano proseguito con l’autonomia padana e il sovranismo della destra hanno creato due generazioni di indifferenti ai problemi collettivi e la perdita del senso del bene comune. 

Diverso atteggiamento, nelle interviste, in “stile Fiat” o “sabaudo” degli imprenditori torinesi che ragionano guardando al futuro.

Siamo i famosi “bogianen” che non significa non fare nulla ma stare al suo posto. Il termine è ispirato dalla famosa battaglia dell’Assietta e successivamente  all’avanzare delle truppe nemiche verso l’esercito piemontese gli ufficiali urlavano alla truppa “bogia nen, bogia nen” per fare fuoco al momento opportuno e vincere la battaglia.

Purtroppo basandosi solo sull’etica del guadagno c’è chi non capisce che siamo ancora verso l’inizio dell’epidemia, la quale si sta spostando rapidamente in altri Paesi e Continenti. D’altra parte i primi dieci Paesi in cui si esporta sono tutti europei, industrializzati, tranne Usa e Cina e Gran Bretagna e che fra qualche settimana tutti i Paesi avranno la stessa situazione pandemica e il commercio mondiale livellato e condizionato dal virus. Occorrerà quindi ripensare il mercato globale.

Allora oggi è il tempo che ognuno faccia la propria parte, la prima è rispettare le regole comuni per rallentare il virus e quindi rispettare le indicazioni del Governo. La seconda, mentre tutto il nostro personale sanitario e della protezione civile è impegnatissimo a affrontare l’emergenza, è aprire una riflessione da parte del  mondo industriale, intellettuale, universitario, economico su come si trasformerà l’economia mondiale dopo il Covid19 e  riposizionare le nostre imprese con lavoratori annessi.

Vorrei tanto sentire questo dibattito nei talk show, magari non avendo Nunzia De Girolamo o Massimo Giletti come esperti e nemmeno Mauro Corona.

Oggi la televisione pubblica dovrebbe  ripensare al suo ruolo e provare a riprendere un ruolo più formativo e educativo senza tralasciare il divertimento, ma è sperare troppo.

Nel torinese vi è una vocazione maggiore a pensare al futuro. Sentire parlare dal Presidente dell’Amma, Marsiaj, a fronte del calo dell’industriale del 3% di pensare a come ripartire e affrontare i mercati internazionali sia un buon segno di chi pensa al sistema imprese al territorio, al futuro. È un segno distintivo con cui andare oltre la Responsabilità Sociale dell’Impresa aggiungendo la Responsabilità Culturale e di Bene Comune dell’Impresa legata al territorio.

In questo il Competence Center di Mirafiori può diventare, mi ricredo un po’ dal mio scetticismo del passato, un fulcro aggregativo della filiera di imprese industriali, dove bisogna aggregare dall’artigiano alla Pmi alla grande impresa che deve fare da volano e supporto alla filiera della fornitura.

Occorre provare a sistematizzare i ruoli delle aziende sul territorio per renderle strutturate alla ripresa. Quando il Covid19, magari i tiggì potrebbero alzare il naso dalle cronache locali per darci una visone mondiale, si sarà dispiegato sulle  economie degli altri Paesi capiremo che tutti abbiamo l’occasione per ridefinire i mercati e anche per ridefinire dove e come produrre.

Il modello può essere Melfi? Fca con i fornitori insieme in uno stesso agglomerato? A Torino non penso sia possibile aggregare fisicamente attorno alle nostre principali aziende i fornitori ma bisogna “tenerle insieme” sul territorio mettendo a fattor comune alcune attività.

Un Paese fatto di Pmi va sostenuto concentrando la gestione dei servizi generali, l’amministrazione, la burocrazia ovvero tutte quelle attività indirette che per una Pmi o un artigiano sono costi indiretti alti e dirimenti a volte per la sopravvivenza stessa. Il sistema bancario deve agire a sostegno ma soprattutto gli imprenditori del territorio non devono più pensarsi come concorrenti ma come sistema “autoreggente”.

Metà anni duemila, ero Segretario Generale della Fim a Novara, i pochi imprenditori del distretto della rubinetteria che parlavano con un sindacalista ti dicevano che la maggior soddisfazione era vedere il dirimpettaio fallire. E abbiamo visto come è andato a finire il distretto delle rubinetterie… con tutta ’sta amicizia!  

Allora se un Competence Center, sostenuto soprattutto da grandi aziende multinazionali,  va nella direzione di aggregare la filiera produttiva della fornitura e di sostenere anche e soprattutto la miriade di Pmi che sono eccellenze in settori di nicchia allora si può pensare che stiamo preparando la ripartenza.

Come per la crisi del 2008 che non è mai finita, possiamo creare i presupposti, dando strumenti e linee d’azione alle imprese del territorio. In questo dalle nanotecnologie, all’Internet delle cose, ai big data, all’additive manufacturing, all’intelligenza artificiale tutto va socializzato tra le imprese e messo a fattore comune perché la forza è la geografia, il territorio in cui viviamo, e non l’individualità.

Calcisticamente diremmo che bisogna giocare in contropiede, oppure, come ho letto sul gruppo wapp Sì Tav, applicare la favola del colibrì: “mentre tutta la foresta brucia e tutti gli animali fuggono, il colibrì corre al fiume a prendere delle gocce d’acqua per spegnere l’incendio…

Allora anche il sindacato la “vertenza Torino” oggi dovrebbe ridefinirla “Contropiede Torino”. Qualcuno potrebbe aggiungervi Grande Torino… Dov’è il trombettiere?

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