Dietro i numeri dell'epidemia

Una persona in pantaloncini corti passa per strada. Dal balcone del palazzo di fronte una signora urla: “Stattene a casa. Ci infetti tutti”. Al supermercato, si avvicina una persona alla prima in coda. Questo si gira di scatto: “Cosa vuoi? Mi vuoi toccare? Stai lontano!”. Gli episodi si sommano così alle storie raccontate; racconti di panico; di un panico che si lega a cifre e numeri ed ad un crescente sentire che obbliga a riflettere in primo luogo su come la comunicazione di questa epidemia sia o non sia efficace.

Il panico è sentimento figlio del disorientamento e del senso del pericolo è il panico. È il senso della totale perdita della capacità di lettura e comprensione del mondo esterno e della consapevolezza della propria fragilità in procinto di spezzarsi. È sentimento antico legato al perdersi nel mondo della natura.

Oggi lo smarrimento che si vive è in un’altra foresta, fatta di numeri. I numeri sono segni antropologicamente forti perché danno oggettività al mondo delle cose; sono strumenti attraverso cui è creato un ordine ed un’intelligibilità ai fenomeni complessi che ci circondano. All’interno dell’orizzonte del presente, i numeri sono il cuore della statistica; la forma discorsiva propria dello Stato contemporaneo. In questo discorso, le cifre utilizzate sono scatole nere in cui la complessità delle relazioni è nascosto offrendo una rappresentazione del mondo di assoluta certezza e sicurezza. Questa apparente trasparenza è frutto, però, di una precisa azione che strappa un dato dal suo contesto, lo trasforma e lo inserisce in un nuovo piano di comunicazione facendone una macchina da guerra per aver ragione. Quotidianamente il commissario Borrelli presenta le statistiche dei contagi, dei morti dei guariti di questa pandemia. Linee tracciate segnano il costante rialzo di una storia in evoluzione di cui la fine non si intravede.

Numeri assoluti si accumulano costruendo una salita infinita. Un morto vale uno: non ha età; non ha storia; non ha volto o provenienza. Il numero assoluto diventa quindi percentuale, ancora meno territorializzata. Un + indica la continua salita; l’infinita crisi. Così è raccontata l’emergenza. I numeri sono letti e diventano parte del vissuto del lettore della propria foresta di simboli, di code, di balconi riscoperti, di case troppo piccole, di crescente sofferenza psicologica, sociale, economica, di paure. In questa foresta, però, ci si può perdere e soprattutto nell’ombra della foresta ogni movimento attorno a noi fa paura, ci dice di un nuovo pericolo senza volto.

Per fuggire dalla paura è necessario rileggere i numeri, tracciando nuove relazioni, riapprezzare la complessità di una situazione che sfugge ogni certezza, sapendo che sostituire numeri con altri numeri, non risolve il problema della crescente ansia e preoccupazione perché anche loro appiattiscono, stordiscono, disumanizzano. Questo è il monito e la conclusione. Leggere i numeri sta ad ognuno di noi sapendoli utilizzare come rimedio mitridante o come tossico strumento di offesa. Leggere i numeri non basta, però, perché di fronte alla complessità le statistiche non aiutano a capire ed essere uomini, ma ci distolgono da una realtà umana in cui la migliore chiave di lettura e di approccio è quello della responsabilità individuale e della difesa dei più deboli.

*Michele F. Fontefrancesco, Università degli Studi di Scienze Gastronomiche

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