Ricchi e poveri uniti nella lotta (al virus)

Con il passare dei giorni le misure di contenimento della diffusione del virus si inaspriscono sempre più, e il loro effetto inizia timidamente a manifestarsi. Ai decreti restrittivi del governo si sommano quelli emanati dai presidenti regionali: una sorta di competizione con Roma su chi ha il polso più duro in merito al cosiddetto “distanziamento sociale”. I cittadini devono orientarsi in una fitta jungla fatta di norme e regolamenti attuativi, a cui sovente seguono altri regolamenti interpretativi e circolari di chiarimento, ma soprattutto devono continuamente districarsi tra le copiose fake news e le quotidiane finte indicazioni di ogni genere e grado: un percorso di sopravvivenza che attraversa un micidiale campo minato.

Tutti (o quasi) hanno però recepito il messaggio inviato senza sosta dai media: stare a casa, e uscire solo per comprovate ragioni di necessità. L’appello, ripetuto giustamente molte volte al giorno, è sovente affidato alla voce e al volto di star del mondo dello spettacolo. I vip aderiscono di norma alla campagna “Io resto a casa” elencando al pubblico tutte le meravigliose attività che possono essere svolte all’interno delle proprie mura domestiche.

I consigli su come passare le giornate casalinghe arrivano da persone che non hanno propriamente “freddo ai piedi”. Nei loro mega appartamenti costoro possono infatti organizzare una comoda vita quotidiana senza dover patire il senso di soffocamento generato dalla reclusione domiciliare, nonché dalla cronica assenza di verde. In quelle immense dimore ci si può addirittura isolare comodamente l’uno dall’altro, anche nel caso di un semplice raffreddore sospetto, mentre le infinite terrazze del super attico diventano gradevoli solarium già dalleprime giornate di primavera.

Le cose invece vanno assai diversamente nei condomini residenziali delle zone lontane dal cuore della città, e ancor peggio nei palazzoni popolari delle aree periferiche più marginali. Essere costretti in casa vivendo in pochi metri quadrati, ad esempio nello spazio angusto di un bilocale, è fonte di grande sofferenza. Nella maggior parte delle abitazioni non vi sono camere in cui collocare palestre d’emergenza, e neppure un balcone su cui posare palmizi e pianticelle ornamentali. La situazione diventa poi ancor più tragica quando agli spazi ristretti si aggiungono crisi familiari ricche di tensione e di reciproco disprezzo.

Sono fortemente convinto dell’imprescindibile necessità di tenere il più possibile lontane le persone l’una dall’altra, ma sono altrettanto certo che non sempre si valuti come questo sacrificio collettivo, per alcuni cittadini, diventi un peso enorme. Sono molte le categorie sociali sparite dall’attenzione della retorica ufficiale, attenta esclusivamente a chi può connettersi alla rete e ha i mezzi economici e culturali per affrontare al meglio la crisi sanitaria. Gli “Invisibili” sono tali pure durante un’emergenza sanitaria: uno status che in Piemonte include (tra i tanti) sia i senza fissa dimora che i ricoverati delle Rsa.

Tra i dimenticati vi sono le coppie di fatto che non coabitano, e i genitori separati. La vita per costoro non è facile, specialmente dopo il decreto firmato da Cirio il 3 aprile scorso. Un atto naturale per qualsiasi famiglia, ossia incontrarsi, può diventare in alcuni casi un reato contro gli interessi dello Stato. Gli adulti che convivono pur non coabitando faticano a dimostrare lo stato di necessità quando vengono fermati dalla forza pubblica per i giusti controlli di rito. In questo caso la denuncia diventa un rischio pericoloso ma accettabile, rispetto all’ipotesi di non sostenersi più vicendevolmente.

Le regole, soprattutto quelle regionali, sembrano non tenere sempre conto della giurisprudenza. La Corte di Cassazione infatti in una delle numerose sentenze riguardanti lo status familiare (Sent. n. 9178 del 13 aprile 2018) definisce “conviventi” non solamente le coppie che coabitano, ma anche quelle costrette da contingenze economiche, o lavorative, a risiedere more uxorio in alloggi diversi. Il diritto/doveredi assistenza reciproca morale e materiale non viene quindi meno pure nel caso risulti impossibile dimorare nello stesso appartamento. Uscire, conmille precauzioni e molto buon senso, per dirigersi verso l’abitazione del proprio patner, dovrebbe essere quindi legittimo anche in tempi di Covid19 (in modo particolare quando le due residenze siano separate da brevi percorsi).

Un’altra foresta inestricabile è quella che circonda il tema “mascherine”. Comprendere quali cercare, quali siano quelle davvero utili e come usarle, non è cosa facile. Al contrario è molto semplice cadere nelle mani di biechi speculatori, abili nel decuplicarne il prezzo nel giro di pochi giorni. Le mascherine sono state trasformate da strumenti sanitari a esclusivi beni di lusso (processo favorito dal silenzio delle giunte regionali).

Nella scarsità di informazioni è stato comunicato solo recentemente come alcuni dispositivi facciali dotati di valvola proteggano unicamente chi li indossa, esponendo tutti gli altri al rischio di contagio virale. Distribuire a tutta la popolazione almeno le mascherine cosiddette “chirurgiche” sarebbe un aiuto alla battaglia contro il Coronavirus, così come vincolare i cittadini adindossarle cosicché proteggersi a vicenda.

Da un lato la retorica di chi immagina i nostri connazionali relegati in case da 150 metri quadrati, dall’altra il terrorismo psicologico di giornalisti trash e gli appelli padani di pregare la Madonna. Uscirne psicologicamente sani sarà il vero miracolo italiano, come per molti cittadini e lavoratori è oggi miracoloso mettere insieme il pranzo con la cena.

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