Tra urne e vasi da notte

Vorrei proporre un breve, ma credo salutare esercizio di ecologia della mente, oggi quanto mai necessario, per trovare una via di fuga o piuttosto una tattica di controllo rispetto al groviglio, apparentemente insolubile, innescato dall’anarchia dominante nella cosiddetta società dell’informazione.

Premetto (come se ce ne fosse bisogno) che considero la libertà di informazione fondamentale e irrinunciabile, ma non al costo di vederla contraffatta nella mostruosa caricatura di se stessa, che è poi quello che sta avvenendo a proposito del Covid-19. Mi rendo conto che l’argomento è delicato, perché quando si tratta di esprimere con evidenza pubblica il proprio pensiero, tutto sembrerebbe, secondo i dettami della democrazia, legittimato e, quindi, legittimo. Sembrerebbe, ma non lo è, perché la stessa democrazia non è e non ha un valore assoluto, bensì strumentale: proprio come una lama affilata che, se usata come pugnale può uccidere, se usata, invece, come bisturi può salvare.

Mi viene in aiuto uno degli spiriti più caustici del secolo scorso, Karl Kraus, quando affermava di non aver fatto altro, come scrittore e giornalista, se non mostrare che “fra un’urna cineraria e un vaso da notte c’è una differenza e che proprio in questa differenza la civiltà ha il suo spazio. Altri, invece, si dividono fra quelli che usano l’urna come un vaso da notte e quelli che usano un vaso da notte come urna”. Fuor di metafora per dire che cosa? Che entrambi sono dei contenitori, ma il loro valore dipende da cosa ci si mette dentro, dalla funzione che gli si assegna.

I valori costitutivi di una civiltà non sono, dunque, astratte idealità, ma valori d’uso. In questo senso, risulta inevitabile osservare quanto il valore comunitario dell’informazione, cruciale nell’attuale congiuntura pandemica, sia stato quasi interamente vanificato proprio da chi dovrebbe porsi al di sopra dell’inconsapevolezza corale o peggio dell’ignoranza conclamata più diffusa. Mi riferisco sia alla comunità scientifica che per esteso al mondo intellettuale, alla loro imprescindibile responsabilità in questa fase, al rapporto tra scienza e coscienza, all’etica delle idee chiare e distinte, al dovere civico di esprimersi con la massima precisione nei riguardi di chi non ne sa o ne sa di meno. Tutto ciò è andato fuori controllo: una sorta di frenesia di informazione getta nel circo mediatico illustri scienziati e notabili della scienza medica accanto ad opinionisti, che si sono in malafede autoconvinti della loro autorevolezza scientifica.

Si viene così assorbiti in una selva di opinioni disorientanti, contraddittorie anche quando fondate perché, se non supportate da presupposti condivisi e riconosciuti univocamente dagli organi di rappresentanza ufficiale della comunità scientifica, non possono che rimanere nell’ambito della pluralità dei pareri personali.

Il caos emotivo e cognitivo che questi comportamenti stanno provocando nella psicologia di massa é allarmante. Si sta perdendo, in una moltitudine di talk show, video e social, la differenza tra il normale e il patologico: la malattia è dappertutto, contatto e contagio sono stati shakerati in un intruglio morboso, che ha generato ancora una volta un fenomeno collettivo di “grande paura”. Senza dubbio il pericolo esiste, eccome! Ma come combatterlo?

Alle incalzanti domande su vaccini, diagnosi alternative (microtrombosi o polmonite?), possibilità terapeutiche ancora inesplorate (eparina anticoagulante?), sugli effetti eventuali del clima estivo, le risposte sono state dannunzianamente: forse che sì, forse che no. Un celebre sociologo ha sentenziato che, superata l’emergenza, si avrà un incremento demografico, perché gli italiani, passata la tempesta, riscopriranno la quiete procreativa dell’alcova. Ma forse, di questo passo, a furia di inattività ed ansietà, prima di tornare alle pratiche amorose ci sarà bisogno di molta attività motoria, di un buon ricostituente e magari pure di qualche seduta dallo psicologo.

Intanto, sullo sfondo di questa commedia dell’incoerenza, mentre ancora infuria la tragedia di vite falcidiate nella solitudine da un sistema sanitario gravemente inadeguato e inadempiente, va in scena il crollo di uno dei pilastri della civiltà e della cultura occidentali: la linea di demarcazione, ereditata dalla “Repubblica” di Platone, tra scienza ed opinione, tra il sapere e la pretesa di sapere. E nel solco profondo di questa distinzione la ragione sonnecchia…

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