Torino laboratorio de noantri?

Storicamente si dice che Torino è stata una “città laboratorio”. Ed è vero. Cioè una città che, appunto storicamente, aveva la capacità di anticipare ciò che, prima o poi, si sarebbe verificato a livello nazionale. Frutto di una sensibilità culturale, politica e sociale fortemente radicata nella città e che ha permesso, attraverso i suoi esponenti più avveduti e capaci, di elaborare esperimenti politici e progetti amministrativi di grande importanza ed originalità con una indubbia ricaduta nazionale. Per la verità, un patrimonio che molte altre città italiane rivendicano. Ma è indubbio che Torino, su questo versate, ha sempre avuto una marcia in più.

Ora, è del tutto comprensibile, nonché corretto, che ad un anno dal rinnovo della amministrazione della città sia ripartito il dibattito sul futuro di Torino tra i partiti e nella cosiddetta società civile. Certo, il tutto avviene in un contesto per molti aspetti diverso e anche drammatico, dove tutto ciò che ha caratterizzato la politica e il confronto politico per oltre 70 anni è momentaneamente sospeso. E non si sa per quanto. E quindi anche la politica dovrà rivedere e profondamente le sue modalità organizzative che siano in grado, soprattutto, di far decollare un vero dibattito democratico non circoscritto ad un confronto autoreferenziale tra i soliti noti. Ovvero, i ben noti salotti cittadini dove non c’è differenza alcuna tra le diverse appartenenze politiche e culturali che vengono sbandierate in pubblico e rigorosamente nascoste in privato. Ma tant’è. Inoltre, ed è bene non dimenticarlo, è francamente difficile elaborare progetti e strategie prescindendo dalla fisicità, cioè dalla partecipazione democratica dei cittadini. Un elemento, questo, che ha segnato proprio la specificità di Torino e della politica torinese nello scorrere delle diverse fasi storiche. Anche con questo fatto occorrerà fare i conti, purtroppo.

Detto questo, spiace rilevare che il tanto decantato “laboratorio” del passato si sia ridotto progressivamente ad essere un modello di spartizione e di raffinata cultura del potere. Fuor di metafora, appare sempre più evidente che oggi la vera sfida e la vera scommessa sono quelle di individuare il candidato a Sindaco e il futuro gruppo dirigente. Obbiettivo del tutto comprensibile e necessario, come ovvio e scontato, ma non ascrivibile certamente al rango di “laboratorio” locale, regionale e tantomeno nazionale. Molto più semplicemente, si tratta della solita logica spartitoria e di potere che, partendo un anno prima, è destinata a consolidarsi sempre di più man mano che si avvicina la data del voto amministrativo. Con tanti saluti alla specificità politica di Torino nel panorama politico nazionale. Perchè, dopo aver preso atto del sostanziale fallimento politico ed amministrativo dell’attuale gruppo dirigente della città - e ci voleva poco a capirlo, del resto - adesso siamo ritornati ai vecchi riti ben noti e ben collaudati ma del tutto estranei a qualsiasi specificità torinese del passato.

Non ci si deve rassegnare, per carità. Ma è indubbio che adesso serve un colpo d’ala, cioè quel salto di qualità necessario ed indispensabile per qualificare la politica e il suo potenziale progetto amministrativo cittadino. Se, invece, il tutto prosegue come oggi, il film sarà indubbiamente diverso. E cioè, lotta spietata sul nome del candidato a sindaco, trattative infinite - con relativi atteggiamenti trasformistici - sulle alleanze da costruire e, infine, spartizione millimetrica sui vari incarichi. Si tratta di decidere quale delle due strade intraprendere. Per non trasformare, appunto, Torino in un laboratorio “de noantri”.

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