FASE 2

I fantasmi della scuola in lockdown

Sono 120 gli studenti degli istituti di Torino spariti dai radar degli insegnanti. Sono in prevalenza ragazze, dell'area Nord della città, iscritte ai primi due anni di istituti tecnici. I limiti della didattica in remoto. La ricerca di Rete italiana di cultura popolare

In prevalenza ragazze, che frequentano il primo o il secondo anno di istituti tecnici superiori. È l’identikit dei giovani torinesi “scomparsi” da fine febbraio, da quando cioè sono state avviate le lezioni online. A fare emergere il dato, l’indagine curata dalla Rete italiana di cultura popolare, secondo la quale 120 giovani di alcuni istituti torinesi, non hanno più avuto in questo periodo contatti con gli insegnanti. Dallo studio è emersa, quindi, la necessità di recuperare gli studenti scomparsi e si è avviata una sperimentazione che sarà estesa ad altre regioni. “Occorre evitare - afferma Chiara Saraceno, presidente della Rete italiana - che le circostanze determinate dalla pandemia acuiscano ulteriormente il rischio che ad un’ampia parte di bambini e ragazzi non venga di fatto riconosciuto il diritto costituzionale all'istruzione e allo sviluppo delle capacità. A questo scopo occorre non solo riaprire le scuole il più presto possibile, ma, da un lato, ripensare la didattica, dall’altra ampliare e rendere più sistematica la collaborazione a livello di comunità locale tra scuola e associazionismo civico”. La maggior parte degli assenti “ingiustificati” (85 su 120) appartengono al primo e al secondo anno. Si tratta in prevalenza di ragazze (73 su 120). Una quarantina vivono tra i quartieri di Barriera di Milano, Aurora, Borgo Vittoria. Gli altri sono sparsi un po’ in tutta Torino. Una ottantina quelli che portano un cognome straniero, una quarantina quelli con un cognome italiano.

“Perché questa situazione? Basta prendere un taxi e farsi portare verso la zona Nord di Torino per comprendere che non è affatto vero che ci vogliamo tutti bene, che ci sono situazioni in cui chi è di colore sta con quelli di colore, chi è asiatico con quelli asiatici e vai così e i ragazzini non possono che assorbire questo clima - afferma, parlando con l’Agi, il preside dell'istituto professionale tecnico Bosso Monti, una delle scuole coinvolte nella ricerca, Antonio De Nicola –. È una situazione che riguarda una decina di casi, se ci riferiamo a quelli completamente spariti in questo periodo, una ventina se si considera anche quelli che magari hanno avuto pochissimi contatti in questi mesi, su un totale di circa 1100 allievi ma è un qualcosa a cui non puoi smettere di pensare”. “Le famiglie non aiutano quasi per niente - prosegue De Nicola - ho smontato tre laboratori, ho dato tablet e computer, abbiamo speso migliaia di euro per comprare le sim ma non basta. E pensare di avere 10/20 ragazzi persi solo perché non hanno il supporto culturale a loro vicino, che gli permetta di capire che non possono non fare nulla, è qualcosa che fa veramente male. Per questo è positivo cercare di recuperarli, è importante provare a farlo”. Da quanto è emerso dalla ricerca, le ragioni dell’allontanamento sono comuni: “In alcuni casi, grazie a contatti telefonici, si è compreso che non si tratta solo di ragazzi che vivono in famiglie sprovviste di connessione a internet o sprovviste di un numero di telefonini o tablet sufficiente per consentire a tutti i componenti del nucleo familiare di seguire le lezioni online. Le criticità sono emerse soprattutto in specifiche scuole con studenti appartenenti a famiglie a basso reddito, con entrambi, o l’unico genitore, che lavorano fuori casa e hanno difficoltà a seguire i figli”.

Adesso l’obiettivo è contattare questi ragazzi, per evitare che si sentano del tutto abbandonati, coinvolgendoli in attività non necessariamente ed esclusivamente di tipo scolastico, che restituiscano loro fiducia, rimotivandoli per quanto possibile a riprendere il contatto con la loro classe e i loro insegnanti. “Al momento - spiega Luisa Manica, una delle volontarie coinvolte nel progetto - siamo riusciti a contattare 60 giovani su 120. Non con tutti riusciamo a mantenere un rapporto perché sono estremamente chiusi e magari già prima dell'inizio della pandemia avevano superato le ore di assenza, oppure ci sono ragazzi che avevano cambiato istituto e poi sono tornati indietro. Con chi ha accettato di mantenere il rapporto con noi abbiamo ideato un programma radio per cui settimanalmente ci inviano playlist, interviste”.

“Per arrivare a loro - spiega ancora Manica - siamo partiti dai presidi per avere l’autorizzazione, poi abbiamo sentito i professori per un quadro generale del ragazzo, dopodiché abbiamo mandato una mail all’alunno e nei casi in cui non abbiamo ricevuto risposta abbiamo contattato i genitori e molti di loro hanno accettato di farci parlare con i figli. Da quello che è emerso non è solo un problema di mancanza di internet, alcuni molto sinceramente ci hanno detto di non avere voglia in questo momento di seguire le lezioni, altri sono magari figli di sanitari impegnati in questo periodo nei reparti Covid e, quindi, hanno dovuto badare loro alla casa e ai fratelli, altri sono rimasti scioccati dagli effetti di questa malattia, che ha colpito persone a loro vicine. Ci sono tanti motivi di queste 'sparizioni'. Noi - conclude - intendiamo comunque andare avanti per provare a coinvolgerli in qualche modo, per ricreare dei legami e riuscire a riportarli a scuola”. Il progetto dovrebbe estendersi anche ad altre scuole italiane grazie alla rete di coloro che hanno aderito al Pfp, progetto che è attivo anche in Campania, Calabria, Molise.

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