DIRITTI & ROVESCI

2 giugno, una Repubblica (s)fondata sulla salute

La compressione di alcuni diritti (libertà individuale e di movimento) in nome di altri diritti (alla tutela della vita e alla sanità per tutti) da parte di un Governo a-costituzionale. Il virus ha infettato anche la nostra Carta? Risponde il giurista Cavino

Salus populi suprema lex esto ammoniva Cicerone. La salute del popolo sia legge suprema. Ma fino a che punto i nostri governanti si possono spingere per tutelarla? L’articolo 32 della Costituzione è chiaro: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Nasce da qui il sistema sanitario nazionale ed è in nome della salute pubblica che il Presidente del Consiglio ha avocato a sé ogni responsabilità e competenza decisionale.

Nei due mesi di emergenza sanitaria accademici e giureconsulti hanno sottolineato a più riprese forzature attraverso le quali il premier italiano si è spinto oltre i confini del perimetro costituzionale nell’esercizio delle proprie funzioni, nella gestione del potere, al punto che Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale è arrivato a parlare di un governo a-costituzionale. “È evidente che di fronte a un’emergenza senza precedenti ci possano essere interpretazioni border line, estendendo l’ambito delle norme applicabili con interpretazioni ‘amiche’ piuttosto ardite delle leggi e della Costituzione” ammette Massimo Cavino, giurista e docente di Diritto Costituzionale all’Università del Piemonte Orientale, tra i primi a porre la questione, quando a colpi di conferenze stampa in prime time il capo del governo sfoderava un dpcm dietro l’altro, prendendosi la scena e soffocando ogni tipo di dibattito pubblico.

Professor Cavino, siamo ormai in piena Fase 2, l’emergenza almeno per il momento è alle spalle e nel giorno in cui celebriamo la nascita della Repubblica, forse possiamo tracciare un bilancio di quello che è stato uno stress test importante anche per la tenuta del nostro impianto costituzionale. Possiamo dire che abbia tenuto, nonostante tutto?
«Il giudizio complessivo è positivo. Ci sono state delle sofferenze evidenti – la privazione di libertà individuali, la sospensione del diritto al lavoro – ma i cittadini hanno deciso di accettarle. Certo, nessuno può dire cosa sarebbe successo se alcune limitazioni fossero arrivate davanti a un giudice amministrativo».

C’è chi ha parlato di esautorazione del Parlamento, qualcuno ha evocato il rischio di torsioni eversive. È stata anche la sua percezione?
«Guardi, possiamo dubitare di alcuni provvedimenti, ma è evidente che non ci fosse nessun disegno autoritario, per la semplice ragione che non c’è stato alcun disegno, se non quello comunicativo, con grande enfatizzazione del ruolo del premier, e l’idea un po’ paternalistica dello Stato».

Possibile che la Costituzione non preveda delle eccezioni in tempi di crisi? Una estensione del potere esecutivo in caso di estrema necessità?
«Durante l’Assemblea Costituente vennero presentate proposte per introdurre una disciplina dello stato d’eccezione: la limitazione dei diritti in tempo di pace di fronte a un’emergenza. Ma non se ne fece nulla per l’opposizione, forse non a caso, di due giuristi, seppur politicamente lontanissimi, come il comunista Palmiro Togliatti e il liberale Roberto Lucifero. Entrambi temevano che questo istituto potesse essere utilizzato come preludio di derive autoritarie. Così oggi abbiamo uno stato d’eccezione solo in caso di guerra, in cui il Governo riceve dal Parlamento i poteri necessari».

All’estero è andata diversamente?
«Ci sono stati grandi dibattiti parlamentari in Spagna, così come in Francia e Germania. Ultima è arrivata l’Italia che per alcune settimane è stata come anestetizzata. Certo, c’erano anche questioni oggettive, come la difficoltà di riunirsi, ma le misure adottate successivamente potevano essere anticipate».

Il paradosso è che poi, quando il Parlamento si è finalmente potuto riunire, è finita in un’avvilente rissa tra sputi e insulti…
«Questa però è un’altra questione e non meno importante. Cioè la totale inadeguatezza di questa classe dirigente già solo nel gestire l’ordinaria amministrazione, figuriamoci una pandemia. È evidente che in momenti straordinari l’impreparazione emerge in modo ancora maggiore e riguarda tutti, a partire dai presidenti delle due Camere, non all’altezza del ruolo che ricoprono».

Non salva proprio nessuno…
«La compagine governativa è quel che è, i parlamentari idem, abbiamo un premier perennemente affiancato dal suo portavoce, che dà l’impressione di curare la propria immagine personale più dei provvedimenti che adotta. Non è un caso che una classe politica tanto inadeguata si sia rifugiata in modo supino dietro le decisioni di tecnici e scienziati. Scelte non assunte dal Governo ma da un comitato di virologi».

Le Regioni, invece, hanno adottato strategie molto diverse. La regionalizzazione della competenza sanitaria ha portato ogni governatore a individuare ricette proprie e spesso, anche qui, c’è stato chi ha provato ad andare oltre le sue competenze.
«Il sistema di per sé non è mal congegnato. Le Regioni, pur in un contesto competitivo, sono state solidali e solo così un cittadino lombardo ha potuto ottenere le cure necessarie in Sicilia. Torniamo al discorso di prima: il sistema di per sé funziona, il problema semmai sta in chi dovrebbe farlo funzionare».

Nelle ultime settimane abbiamo assistito nel dibattito pubblico a una sorta di conflitto tra due diritti fondamentali: quello alla salute e quello al lavoro, tra Fase 1 e Fase 2. Come si fa a far conciliare queste due istanze?
«Ci sono sempre esigenze di bilanciamento. Per poter garantire la salute bisogna spendere denaro pubblico e perché ci sia denaro pubblico serve un’economia che funzioni. Con l’economia ferma un sistema sanitario estremamente costoso, com’è il nostro, crolla. Il contrasto è solo apparente».

Per gestire al meglio la Fase 2 il ministro Boccia ha pensato bene di introdurre la figura dell’assistente civico, che tuttavia non pare aver riscosso grande successo…
«C’è questa idea della mobilitazione che mi fa venire in mente un aneddoto che risale al tempo delle Olimpiadi di Torino. Allora avevo un abbonamento Formula per viaggiare in treno e sui mezzi pubblici: salgo sul tram e prendo posto. Davanti a me c’era un volontario, con la giacca di Torino 2006, lo zaino e tutto il kit. Si gira e mi chiede: “Lei il biglietto non lo timbra?”. Aveva un’uniforme, si sentiva parte di una missione e per questo in diritto di andare anche ben oltre le sue mansioni, in quel caso per la piena riuscita dell’evento. Ecco proviamo a immaginare cosa potrebbe succedere con gli assistenti civici».

Intanto ci sono i primi segnali di fermento nella società, la paura per il Covid lascia il posto alla rabbia generata dalla perdita del lavoro e di un reddito di molti cittadini, come si è visto con le manifestazioni di piazza dei gilet arancioni.
«Da quelle piazze sono arrivati messaggi decisamente sconfortanti. L’immagine delle piazze riempite dietro quegli slogan e dietro quei personaggi dimostra che c’è un livello di cultura e di educazione civica decisamente basso. Di fronte a crisi economiche il pericolo di derive si alza e noi abbiamo investito poco per educare gli italiani alla cittadinanza. I cittadini non hanno percezione di cosa sia lo Stato e la collettività e nei momenti difficili si sentono soli. Il prossimo autunno sarà molto difficile. Io mi auguro ci sia una capacità da parte dei partiti strutturati – con esperienza di governo anche locale e regionale – di dare segnali di presenza. Quelle piazze si riempiono quando i cittadini hanno una percezione di un vuoto. Ciò che è disarmante è vedere contro cosa manifestavano quei cittadini. Quelle piazze che protestavano contro il nulla sono la dimostrazione dell’assenza di un disegno politico. Se non c’è una tesi è difficile che qualcuno proponga un’antitesi. Insomma, c’è chi si ribella al nulla politico mettendo in piazza il nulla di una proposta alternativa. E questo è pericolosissimo».

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