EMERGENZA SANITARIA

"I controlli stanno funzionando"

Per il professor Di Perri la scoperta del focolaio nella Rsa del Monferrato non va drammatizzata: "Mi sarei stupito non fosse accaduto, giacché il virus circola ancora". Prontamente individuato e tracciato "come non riuscivamo a farlo fino a venti giorni fa"

Un mese fa, il 22 maggio, tutti i 60 ospiti erano stati sottoposti a tampone e nessuno era risultato positivo al Coronavirus. Oggi nella Rsa Madonna del Pozzo di San Salvatore Monferrato i casi accertati di Coronavirus sono 13, tre sono gravi e un anziano è deceduto nei giorni addietro dopo il ricovero in ospedale, dei contagiati due sono operatori socio-sanitari. È il primo focolaio con questi numeri in Piemonte dopo il lockdown, che in verità per le case di riposo non è ancora finito. Quella del paese di quattromila abitanti sulle colline di Casale Monferrato è una struttura che era stata chiusa alle visite dal 23 febbraio e nella quale certamente fino a quel 22 maggio non era entrato in virus. I sintomi del Covid si sono manifestati in alcuni ospiti qualche giorno dopo che l’uomo poi deceduto era rientrato dal primo ricovero in ospedale. Solo un indizio, nessuna certezza su come il virus sia potuto entrare nella Rsa e diffondersi creando un focolaio quando i dati dei contagi continuavano a decrescere in tutta la regione, comprese le strutture che nei mesi scorsi sono state teatri di una vera e propria strage di anziani.

Giovanni Di Perri, primario di Malattie Infettive all’Amedeo di Savoia, dove il calo dei contagi hanno appena consentito la chiusura del reparto Covid, è componente della task force approntata dalla Regione per la Fase 2 e affidata all’ex ministro Ferruccio Fazio.

Professor Di Perri, questo focolaio nell’Alessandrino deve essere considerato preoccupante? Mette in discussione i dati sostanzialmente positivi che si registrano ormai da giorni in Piemonte sul calo dei contagi?
“No. Questo è il tipico evento che può succedere. Dico di più: mi preoccuperei se non accadesse, perché vorrebbe dire che il sistema dei controlli non funziona. Invece conosciamo questo episodio, siamo piombati addosso, sono stati fatti tutte le tracciature proprio perché un sistema che fino a venti giorni fa non funzionava così, adesso funziona molto bene. Diciamo che è un segno di salute del sistema di controllo che, ovviamente adesso ha buon gioco perché ci sono pochi casi”.

Il sospetto è che il virus sia stato portato nella struttura da un ospite che era stato ricoverato. Gli ospedali rappresentano ancora un rischio?
“Negli ospedali i test sierologici hanno dato un valore sotto il 7% per gli operatori sanitari, un punto e mezzo in più rispetto alla popolazione generale. Non molto, assolutamente. Non dimentichiamo che i casi prevalenti sono quelli degli asintomatici”.

Ma il professor Giuseppe Remuzzi dell’Istituto Mario Negri sostiene che gli attuali positivi non sono contagiosi.
“Remuzzi è un grandissimo nefrologo, ha degli indici bibliometrici straordinari, lo stimo moltissimo, ma questa non è materia sua. La certezza è che il 40% delle infezioni vengono dagli asintomatici. Se andiamo a guardare la quantità di virus nelle secrezioni orofaringee è molto più alta al primo tampone. Vale sempre, a maggior ragione adesso”.

L’ha sorpresa la notizia della presenza di Coronavirus nelle acque reflue di Torino già a dicembre?
“Un dato intrigante, ma non sorprendente del tutto in quanto il 5 dicembre la Cina riconosce casi. Basta che una famiglia cinese sia stata a Torino. Ma non ricondurrei a quel periodo l’inizio dell’epidemia torinese. Quando ci siamo impegnati nella diagnostica differenziale, dopo i primi due casi allo Spallanzani di Roma, lavorando molto su chi presentava sintomi influenzali e per almeno quindici giorni di Covid non ne abbiamo riscontrato”.

Torniamo al focolaio in Monferrato, anche quello non l’ha sorpresa?
“Sapevamo che l’infezione avrebbe potuto dare importanti colpi di coda. Il fatto di avere un sistema che va sul caso e fa tutti gli accertamenti, anche sugli asintomatici, oggi ci consente di circoscrivere rapidamente il focolaio, mentre prima aspettavamo il paziente sintomatico in ospedale”.

E questa è stata una falla importante nel sistema. È d’accordo?
“Diciamo di sì. Ma ricordiamo che si è comportata tutta Italia con l’eccezione del Veneto”.

Una lezione con costi pesantissimi. Adesso? 
“Dobbiamo continuare a sorvegliare, non c’è sabato e non c’è domenica. Stiamo ancora vivendo di rendita dal lockdown”.

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