Ancora le primarie?

Dunque, nel campo del centrosinistra avremo ancora le primarie per scegliere i candidati a sindaco e per altri organi elettivi? Credo sia una domanda legittima – che ovviamente c’entra poco se non nulla con la politica – anche perché molti nodi politici finiscono sempre per intrecciarsi pericolosamente con normative burocratiche e regolamentari. Appunto, nel caso specifico, con il ritorno delle fatidiche primarie.

Ora, tutti conosciamo la genesi di questo strumento burocratico cha ha avuto nel tempo, è inutile negarlo, una grande valenza politica. Certo, il più delle volte le primarie erano un finto strumento democratico perché il risultato della consultazione popolare già si conosceva in partenza. Penso alle cosiddette “primarie confermative”, cioè quelle consultazioni di popolo che finivano solo per confermare ciò che i vertici dei partiti avevano già legittimamente deciso. Altre volte, spesse volte, a livello nazionale sono state frutto e conseguenza di un profondo malcostume della politica con relative denunce, intruppamenti clientelari e spettacoli francamente inguardabili. Altre volte ancora, invece, hanno rappresentato una boccata di ossigeno democratica. Ma, al di là delle varie esperienze vissute, si deve anche dire che le primarie sono state, comunque, un autentico strumento democratico e partecipativo dove i cittadini potevano decidere a prescindere dall’avere una tessera di partito una tasca. Certo, con conseguenze non sempre piacevoli per la strana e singolare partecipazione che, a volte, si recava ai seggi.

Oggi, però, ci si deve chiedere laicamente se per la scelta dei prossimi candidati a sindaco – a cominciare da quello di Torino e per tutte le altre città che andranno al voto nel prossimo anno –  il ricorso allo strumento delle primarie sia ancora lo strada maestra per la scelta della classe dirigente locale. Anche se, occorre pur riconoscerlo, dopo l’ubriacatura di qualche tempo fa sul ricorso alle primarie per qualsiasi tipo di consultazione elettorale – addirittura e paradossalmente per incarichi di partito! – adesso, almeno così pare, sarebbero circoscritte solo per gli organi monocratici. Ma anche qui si pone un problema, che poi è il vero problema per la politica contemporanea, sempre più debole e sempre più fragile nella considerazione quotidiana dei cittadini. Come, del resto, ci confermano tutti i risultati degli istituti demoscopici. Ovvero, se dopo la sbornia populista, demagogica e antipolitica innescata nella politica italiana dall’esperienza dei 5 stelle, non sia giunto anche il momento affinché i partiti – almeno quelli che si possono ancora definire tali – ritornino ad essere soggetti credibili e autorevoli e rispondano delle loro scelte di fronte ai cittadini e all’opinione pubblica. Perché se questo non dovesse più accadere, allora avrebbero ragione tutti coloro che sostengono, di fatto, l’inutilità dei partiti da un lato o la loro inesorabile ed irreversibile trasformazione in puri cartelli elettorali dall’altro. Utili per distribuire il potere interno, sempre di meno per la verità, e per spartirsi gli incarichi di sottogoverno quando viene richiesta la consultazione dei partiti medesimi.

Ecco perché, forse, proprio in questa cornice politica è necessario un rinnovato protagonismo dei partiti, e quindi della politica cosiddetta alta e autorevole, nella scelta della futura classe dirigente. Dopo, come ovvio e scontato, una seria e altrettanto severa consultazione dei vari settori culturali, sociali e professionali della società locale. Solo così forse, la politica locale – e gli stessi partiti – potrebbe recuperare quel deficit di credibilità e di fiducia che si è pericolosamente eclissata in questi ultimi anni. Non basta ricorrere sempre e solo alle primarie per essere credibili. A volte occorre anche assumersi direttamente il compito della scelta della classe dirigente. Che era e resta la vera priorità per chi dice di impegnarsi quotidianamente nella politica. E quindi anche nei partiti.

print_icon