DAI BANCHI ALLE OFFICINE

Scuola, ultima della classe

Il peso che Governo e politica assegnano a istruzione e formazione lo si è visto anche nella gestione dell'emergenza sanitaria: dopo sale bingo e discoteche. Per Odifreddi di Piazza dei Mestieri l'attuale sistema statalista non valorizza le competenze né premia il merito

“La scuola italiana è in crisi”, probabilmente lo era già prima dell’emergenza Covid che ha solo acuito in quadro clinico già deficitario. Per anni non è stata una priorità dei governi che si sono succeduti “ed è evidente che non lo è neanche per questo”. È sconsolato Dario Odifreddi, 49 anni, presidente della Fondazione Piazza dei Mestieri e anima della ciellina Compagnia delle Opere di Torino, dal 1994 impegnato nel campo della formazione. “Quando parlo di scuola intendo tutto il sistema educativo, che va dagli istituti statali alle paritarie, fino al campo della formazione professionale e basta leggere le risorse messe sul decreto Rilancio per capire quanto poco importi a chi ci governa di una situazione sempre più insostenibile”.

Di cosa parla?
“Innanzitutto diciamo che per far ripartire la scuola il Governo investe 1,5 miliardi, esattamente la metà di quelli messi su Alitalia. Chi governa il Paese non si rende conto di quanto sia importante l’educazione”.

Il premier Conte ha annunciato lo stanziamento di un ulteriore miliardo. Ma è solo un problema di soldi?
“Non solo di quanti, ma anche di come vengono spesi. Continuiamo ad agire in un sistema statalista che non valorizza il pluralismo educativo e il merito. Se le risorse sono poche per le scuole statali, siamo all’elemosina per le paritarie, mentre sulla formazione professionale non c’è proprio niente”.

Prova a tirare l’acqua al suo mulino?
“Più che altro parlo di ciò che conosco bene. E dico che bisogna fare attenzione, perché il rischio è che a essere penalizzate siano le categorie più fragili”.

Perché parla di “sistema statalista”?
“Non c’è spazio per l’iniziativa dei dirigenti scolastici che dovrebbero pensare a come sviluppare il proprio istituto e invece sono legati a una miriade di norme e paletti imposti da Roma. Lo stesso dicasi per gli insegnanti: nessun incentivo a fare di più e meglio, così si favorisce un appiattimento verso il basso”.

Rischiamo di perdere, proprio nella scuola, un concetto come il merito?
“Abbiamo docenti reclutati senza alcuna attenzione, si parla di 32mila assunti con un test a crocette. E poi non viene riconosciuta la creatività di maestri e professori migliori: avranno sempre lo stesso reddito quelli che lavorano meglio e quelli che fanno il minimo indispensabile”.

Ma a questo punto cosa si può fare?
“Bisogna investire su competenze digitali che non vuol dire solo dotarsi di hardware e software ma anche ripensare i contenuti, adottando una didattica che sia sempre meno di tipo enciclopedico e nozionistico e più rivolta all’acquisizione delle cosiddette soft skills”.

Qual è in questo scenario il compito delle istituzioni?
“Innanzitutto servirebbe maggiore dialogo per creare un sistema integrato tra le Regioni e il Governo. Siamo la Cenerentola d’Europa per le politiche attive del lavoro e abbiamo questo personaggio strampalato che invece di far funzionare l’Anpal si ritrova a dover giustificare spese e rimborsi presi per dei viaggi negli Usa. E intanto i navigator riescono a collocare solo il 2% di quelli che prendono in carico. Un disastro”.

Il salto dalla scuola al lavoro continua a essere molto difficile…
“Bisogna che tra educazione e lavoro si stabilisca un’alleanza. È necessario mettere a sistema tutti i soggetti interessati, creare delle accademy sui settori strategici per un territorio: penso al food, al turismo, ma anche alla meccanica e all’aeronautica”.

print_icon