Macchie sull'asfalto

A volte è sufficiente viaggiare in auto, su una semplice strada provinciale, per maturare profondi dubbi sulla bontà dell’animo umano. Dopo aver percorso solamente una trentina di chilometri è possibile essere colti dal desiderio irrefrenabile di spegnere la radio, poiché difficile reggere ancora l’usuale mix di parole leggere e musica popolare: guidando, l’umore positivo può mutare decisamente in un’immensa tristezza.

Concentrato sulla strada, alla vista della quarta “macchia” sull’asfalto un’ombra è calata definitivamente nei miei pensieri. La prima di queste stranamente si muoveva ancora. Provava a battere un’ala nel vano tentativo di staccarsi dal selciato per tornare a volare. Quel tono scuro, circondato da schizzi rossi, era in realtà una rondine vittima di un mezzo su ruote, probabilmente sfrecciato poco prima sulla provinciale nel senso di marcia contrario al mio. In quel momento nutro la sola speranza che un’altra vettura dia il colpo di grazia all’animale, così da mettere fine alla sua atroce sofferenza.

Qualche minuto dopo, una seconda macchia mi appare. Questa volta giace sulla carreggiata di destra della mia stessa direttrice. È bianca con striature nere: tra sangue e viscere sparse intorno se ne distingue bene la coda a pelo lungo. Rallentando, rilevo come si tratti di quel che rimane di un gatto: un bellissimo esemplare di felino domestico che i suoi amici di casa staranno di certo cercando con disperazione.

Da un pezzo non canticchio più sopra ai brani trasmessi via etere, e inizio a stare male. Va ancora peggio quando noto una volpe rossa spiaccicata proprio nel mezzo della mia corsia. La evito a fatica riuscendo a non straziarne ulteriormente il corpo. Infine alle porte di Torino ancora un altro esserino arrotato violentemente, di cui non posso neppure distinguerne le fattezze, mi consegna alla tristezza più profonda.

Mentre arrivo a destinazione prendo atto di come la nostra specie si distingua da tutte le altre per il disprezzo che dimostra verso la Vita. Mi chiedo perché quando si ha un volante in mano non si badi più a nulla. Basterebbe andare a velocità meno elevate per non distruggere animali ed evitare di investire esseri umani, o procurare spaventose collisioni. Invece, al contrario, velocità, egoismo e cinismo hanno sempre la meglio su qualsiasi cosa: compresa la Pietà. Uccidere a volte diventa un gioco: come testimoniano i tanti piccioni schiacciati in città da piloti che si divertono a passare loro sopra anziché evitarli.

Solleva pensare ai tentativi fatti da personaggi autorevoli, soprattutto negli ultimi secoli, per educare la popolazione sulla tutela di chi condivide con noi l’esistenza sulla Madre Terra. Un’opera svolta, tra gli altri, da Giuseppe Garibaldi, il quale depositò addirittura progetti di legge aventi per oggetto la protezione degli animali. Una sensibilità fatta propria anche dal mondo dello spettacolo: Charlie Chaplin nelle sue interpretazioni cinematografiche sovente affrontò il tema, mentre Totò acquistò un canile salvando da morte certa i suoi oltre trecento ospiti (condannati dalle difficoltà economiche di chi lo gestiva originariamente).

Parole e atti in controtendenza, sovente oggetto di scherno e messa in ridicolo con frasi del tipo “Pensate a chi muore di fame!”, manco una battaglia civile ne escludesse un’altra. L’impegno a favore degli animali è sempre rivolto e accompagnato (salvo rare eccezioni) alla difesa di tutte le fragilità, sia sociali che economiche.

Purtroppo la stessa emergenza del Covid19 ha offerto una drammatica conferma delle tante contraddizioni umane: di una specie che ritiene di poter usare gli altri esseri per sfamarsi, divertirsi oppure giocare mentre li annienta o li abbandona. È di questi giorni un appello lanciato anche sui social da un’associazione milanese. Le volontarie di Miagolandia Onlus hanno salvato un attempato gatto, Ovidio, appartenuto a una coppia di anziani sterminata dal virus.

Dopo la partenza delle ambulanze, su cui sono stati caricati coloro che lo accudivano e si sforzavano di comunicarne la presenza ai soccorritori, Ovidio è rimasto solo: dimenticato in casa per molti giorni. La fame lo ha fatto miagolare con tutte le sue forze, a tal punto che i Vigili del Fuoco hanno rotto il vetro di una finestra per liberarlo e lasciarlo andare libero in strada. La sopravvivenza del felino era comunque appesa a un filo, poiché non in grado di procacciarsi il cibo; e nel frattempo i suoi due ospiti decedevano in terapia intensiva. I lamenti del gatto (senza nutrimento da tanto tempo) hanno finalmente allarmato alcuni vicini, grazie ai quali finalmente è intervenuta la Onlus.

Sono occorsi tre mesi per rimettere l’animaletto in forma e rintracciare il figlio della coppia, dimesso pochi giorni prima dall’ospedale, ma l’uomo, alla vista del trasportino, ha subito allontanato volontari e gatto, chiedendo pure i danni per il vetro infranto.

Gli esseri fragili diventano invisibili, indesiderati, nella società regolata dal denaro nonché da scelte esistenziali basate sul nulla anziché sull’essere. Ovidio, oggi in cerca di una famiglia adottiva, ha subito un destino comune a tanti nostri simili: abbandono forzoso, allontanamento, fame, perdita di affetti e casa.

Siamo molto lontani dal comprendere l’importanza della nostra esistenza, di respiri concatenati uno all’altro, di vite necessariamente parte di un insieme chiamato “Pianeta Terra”: mondo dove la sopravvivenza è garantita solamente dalla solidarietà e dalla fratellanza addirittura inter specie.

Dobbiamo augurarci che le teorie religiose incentrate sulla reincarnazione siano fallaci, frutto di pura fantasia. Cosa accadrebbe se dovessimo rinascere nel corpo di un animale destinato al macello, oppure di un essere nato e vissuto in un allevamento intensivo, o ancora in un essere derelitto, privato anche della sua dignità.

Rinascere magari per diventare macchie sull’asfalto, create dall’egoismo “umano”.

print_icon