Lo "strano" voto del referendum 

In politica quando si perde non c’è cosa migliore che riconoscerlo e ammetterlo. E il No al recente referendum sul taglio dei parlamentari è uscito soccombente anche se partiva da percentuali bassissime. Tutti sappiamo, infatti, che tutti i partiti, salvo il minuscolo +Europa, erano seccamente per il Sì – almeno ufficialmente – e, al contempo, oltre il 95% dei parlamentari aveva detto Sì all’ultima votazione utile in Parlamento. Seppur con doppie e triple capriole e repentine conversioni dettate da ragioni di puro potere e di convenienza personale. Ma tant’è. Comunque sia, il risultato è chiaro e netto, anche se non possiamo dimenticare che il 30% del No adesso va interpretato e, soprattutto, gestito politicamente e culturalmente. All’interno e all’esterno dei partiti.

Ma c’è un altro dato all’interno di questa doppia consultazione elettorale – il referendum sul taglio dei parlamentari e il rinnovo di 7 amministrazioni regionali – che non può e non deve passare sotto silenzio. Anche se, stranamente, non è stato molto evidenziato. Se da un lato, infatti registriamo una secca e progressiva debacle elettorale del partito simbolo dell’antipolitica, del populismo e della demagogia antiparlamentare, cioè il partito dei 5 stelle, dall’altro assistiamo – al contrario – a una altrettanto progressiva espansione del populismo e della cultura antipolitica e antiparlamentare. Che, è sempre bene non dimenticarlo mai, è stato lo storico cavallo di battaglia del partito di Grillo, dal “vaffa day” in poi.

Una contraddizione in sé, dove il partito populista per eccellenza perde secchi e massicci consensi nel territorio proprio nel giorno in cui i cittadini italiani premiano e sostengono, altrettanto massicciamente, una storica battaglia populista e demagogica. Non a caso, come dicono tutti i sondaggisti e come è facile capire ascoltando chi concretamente ha votato Sì senza le giustificazioni strumentali e arzigogolate dei vari leader di partito, lo ha fatto per un motivo molto semplice e sintetizzabile in alcune parole: adesso diamo una bella legnata alla casta! Basta con questi parlamentari mangiasoldi e via discorrendo. Ovvero, le tesi sostenute da sempre dai 5 stelle e da tutto il circo populista e demagogico. Che, detto fra di noi, ha caratterizzato per oltre 20 anni il dibattito politico, giornalistico e culturale nel nostro paese con rare eccezioni e distinguo. È persin ovvio arrivare alla conclusione che dopo svariati lustri di accanimento e di bombardamento mediatico su queste tesi, la stragrande maggioranza della pubblica opinione lo ha semplicemente certificato con il voto. Poi, certo, c’è una piccolissima minoranza che ha giustificato il Sì con ragionamenti e riflessioni politologiche, istituzionali e giuridiche che però, come tutti sanno ma proprio tutti, non hanno avuto il minimo appiglio nella stragrande maggioranza degli elettori che hanno fatto quella scelta.

Ora, si tratta di capire come, sotto il profilo politico e culturale, quel sentimento populista, demagogico e antipolitico che continua a correre nel sottosuolo del nostro paese possa e debba essere interpretato e rappresentato. Perché con la crisi, ormai irreversibile e progressiva, del partito dei 5 stelle, è sempre più indispensabile attivare una iniziativa politica che sia in grado di intercettare quella sfiducia e quella domanda di cambiamento – che resta ancora fortissima, checché se ne dica – per trasformali e tradurli in un rinnovato progetto politico e, possibilmente, di governo. Per il momento non resta che prendere atto di questa marcata e palese contraddizione e confusione del voto di domenica scorsa.

print_icon