Occorreva fare

Non vorrei essere nei loro panni. Governare è cosa difficile, se fatta con passione, ma amministrare mentre incombe un pericolo per la popolazione comporta anche una enorme responsabilità. Criticare stando alla finestra invece è facile, come lo è per i pensionati brontolare mentre guardano l’organizzazione del lavoro di un cantiere stradale.

Gestire il Paese da marzo in avanti ha significato affrontare un’emergenza dopo l’altra, sino a dimenticare cosa sia l’anelata normalità. Un banco di prova difficile anche per quegli assessori regionali che hanno accettato l’incarico pensando, magari, che il loro lavoro sarebbe stato all’insegna della routine: firmare qualche convenzione con il privato, chiudere ospedali pubblici per sostenere quelli privati, oppure affidarsi a “Project finance”. Purtroppo però quanto avvenuto sino a oggi esula dalla routine, e i limiti della classe politica posta ai vertici delle Istituzioni sono emersi in tutta la loro devastante consistenza.

La prima ondata del Covid19, a marzo, ha colto impreparate sia le amministrazioni pubbliche che la società. All’epoca non si sapeva come affrontare il virus e scarseggiavano protezioni individuali: erano introvabili alcool, gel e mascherine. Superata la fase acuta, dopo aver contato molte vittime e assaporato il terrore mediatico dell’informazione, il Covid ha mollato leggermente la presa. Qualche esperto dava il virus “clinicamente morto” mentre l’estate si annunciava con la sua dote di caldo e di curativi raggi solari.

Parallelamente, dal mese di giugno in poi, è diventato normale assistere a manifestazioni di piazza organizzate da grotteschi individui, forse giunti direttamente dall’epoca dei cosiddetti “Forconi”. Nel medesimo periodo alcuni politici hanno usato ogni occasione pubblica per gridare al complotto, mostrandosi con orgoglio, nei comizi e tra i propri sostenitori, senza mascherina su naso e bocca (in primis l’accoppiata Salvini-Meloni).

Durante l’estate quindi le misure anti-epidemiche hanno iniziato a vacillare. I presidenti di regione (chiamati in modo errato “governatori”) chiedevano con forza di annullare il distanziamento sanitario sui treni (Cirio e Fontana in testa) mentre i controlli anti-assembramento venivano di fatto azzerati. Nella frenesia della “Ripartenza” nessuno ha pensato di approfittare dei mesi della tregua estiva per mettere mano alla Sanità (non con il proposito di saccheggiarla, ma una volta tanto con il fine di rafforzarla). Tutti si sono scordati anche di intervenire sul trasporto pubblico, di organizzarlo in modo tale da assicurare, in autunno, il distanziamento sanitario dei passeggeri.

Naturalmente il virus non poteva essere scomparso del tutto, poiché ovunque nel mondo il numero dei contagi faceva presagire la sua piena vitalità (quindi il probabile ritorno dell’emergenza). Malgrado il quadro epidemico mondiale, non sono serviti gli appelli alla prudenza del Presidente Mattarella per fermare le feste dei Briatore di turno, e nei territori non sono stati messi a buon frutto i fondi stanziati per fronteggiare l’emergenza virale.

Malauguratamente il tarlo della esternalizzazione ha scavato in tutte le menti, anche in quelle dei pochi statisti rimasti in Parlamento e nell’esecutivo. Non mettendo i soldi in azioni strutturali, ma riferendosi solo alla pratica comunale della contribuzione per aventi diritto, si è scelto di stare alla finestra e aspettare.

Occorreva infittire i controlli punendo chi sbagliava, non scegliere di colpire tutto il sistema civile ed economico. Occorreva responsabilizzare penalmente i titolari dei locali della “movida”, i gestori di palestre e piscine: chiudere solamente chi sbagliava in malafede, con dolo o colpa grave. Occorreva investire sul trasporto pubblico infittendo le corse dei mezzi e reintroducendo i bigliettai, liberare il conducente da assurde discussioni e contingentare gli ingressi a bordo (perché quando si ha fretta si sale anche nella ressa). Occorreva affidarsi un po’ meno agli imprenditori privati della Sanità e allestire reparti Covid in tutte le città nonché rafforzare i presidi sanitari territoriali: a Torino si sarebbe potuto recuperare l’ex Ospedale Militare.

Purtroppo nulla di questo è accaduto.

L’interesse per la Storia mi ha portato a leggere molti vecchi documenti redatti in prossimità dell’arrivo di epidemie, come ad esempio il micidiale colera ottocentesco. Posti di controllo, visite, quarantena e ricovero in caso di contagio erano le decisioni sanitarie in voga due secoli or sono. Poche parole d’ordine: semplici quanto efficaci.

Oggi invece ci troviamo a vivere il coprifuoco (termine militare da codice penale di guerra), a patire per attività commerciali (quelle che solitamente ravvivano una città) e culturali (cinema, tetri, concerti) vietate a tempo indeterminato. I dehors, concessi gratuitamente ai commercianti di prossimità, sono destinati a trasformarsi in scheletrici monumenti dedicati alle “speranze vane”, già muti testimoni della devastazione avvenuta in seguito alle barbare azioni di chi si è infiltrato nelle manifestazioni indette la sera del 26 scorso in nome della “Libertà” (evento durante il quale è stata sradicata anche la lapide dedicata al partigiano Andrea Piumatti, ucciso in piazza Carlo Alberto dai nazifascisti).

Manifestare per avere più ospedali pare non sia per niente di moda in alcuni ambienti, dove si concepisce solo il saluto romanoe l’unico obiettivo è creare caos distruttivo.

Il Covid19 uccide mettendo al contempo in risalto tutti i limiti della nostra società, e quelli di chi la governa a tutti i livelli istituzionali (opposizione parlamentare in primis). Un sistema malato, moribondo, poiché incurabile dopo la sciagurata caduta delle ideologie sociali. 

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