Predicare bene ma "ruzzolare" male

Niente da fare. Il necessario “balzo in avanti” gli imprenditori torinesi non riescono a farlo. Lo si deduce leggendo il seppur lodevole tentativo che fa il presidente della Camera di Commercio. Nella sua analisi anche in parte condivisibile non riesce poi a andare oltre quelle che sono ricette e proposte consuetudinarie. Se sul piano del rilancio di Torino ci si ferma ancora e non si vede oltre il Manufacturing Center a Mirafiori e corso Marche sorgono due domande. La prima è che con il tanto parlare già fatto dagli imprenditori alla politica e al Politecnico, in realtà non è stato fatto ancora quasi nulla. La seconda è che non si parla delle future generazioni, ma l’unico obiettivo è il recupero di produttività. Come? La prima risposta sarebbe più investimenti, tramite iperammortamenti e Industria 4.0. Invece scopri che l’aggiornamento congiunturale della Banca d’Italia di questo mese fotografa che nei primi sei mesi del 2020 è proseguita la crescita dei depositi bancari delle imprese. La dinamica è continuata anche nel terzo trimestre. Come diceva un vecchio sindacalista le imprese “predicano bene ma ruzzolano male”.

Fa riflettere che tra i “pesi” attribuiti alle aziende ci sia il “welfare insostenibile” quando proprio nel contratto dei metalmeccanici nel 2016 il welfare fu il fulcro del contratto nazionale fortemente voluto da Federmeccanica e lo sia anche nella tornata attuale dove le aziende non vogliono riconoscere gli aumenti salariali ma puntano nuovamente al welfare aziendale.

Ricette vecchie perché l’unica possibilità di rilancio dell’economia passa attraverso la capacità di resistenza delle imprese che devono guardare oltre il proprio cancell” contribuendo alla crescita complessiva del territorio, in primis dal punto di vista sociale. Mai come oggi la ripresa post Covid passa attraverso il tessuto sociale dei territori.

Varrebbe ancora una volta l’abusata frase di Kennedy che tradotta nella vulgata può dirsi così: “Se vuoi salvare te stesso pensa prima agli altri”. Libera interpretazione, ovviamente.

Il primo dato è la debolezza del nostro sistema delle imprese. Lo ricorda bene il professor Galimberti quando dice che se un’impresa non ha i mezzi, economici, per resistere qualche mese da sola allora abbiamo un’economia malata nel sistema stesso. Il secondo dato, più complesso, ci aiuta a focalizzarlo l’intelligente e puntuale ricerca  fatta da Mauro Zangola sui giovani e il lavoro, dove fornisce spunti interessanti di analisi. La ricerca ci conferma che al primo posto della ripresa lo devono occupare i giovani e il loro inserimento nel mondo del lavoro. Qui serve un ruolo delle imprese che vada oltre la consueta litania. Intanto andrebbe ribaltato il problema della scadenza del blocco dei licenziamenti invertendo il paradigma e non usando più questo argomento come una minaccia: o mi date “qualcosa” oppure licenzio, ma inserire in un progetto di ripartenza industriale, che comprenda la produttività, la necessità di evitare i licenziamenti per avere professionalità e competenze consolidate. Sennò siamo alla vecchia logica: variabilità della forza lavoro in base al mercato e massimizzazione della precarietà.

Responsabilità sociale delle imprese significa partire da una regolamentazione del mercato del lavoro che abbia un fulcro nella stabilità della gestione della forza lavoro e nel suo ricambio attraverso il rinnovo e la gestione degli ammortizzatori sociali che comprendano il governo del mercato del lavoro. Allora parliamo di formazione, di uscite gestite da accordi sindacali, di polivalenza professionale. Parliamo di ricambio generazionale: usciamo dall’assistenzialismo del reddito di cittadinanza e dall’inutilità dei navigator e utilizziamo le risorse per inserire i giovani nel mondo del lavoro. Questa è la responsabilità sociale dell’impresa che deve contribuire a ridurre “l’esplosione del lavoro precario” per dirla con Zangola: ”L’intensità della precarietà varia naturalmente secondo la durata delle assunzioni con contratti a tempo determinato, molto varia e per molti versi sorprendente. Quasi un terzo ha una durata inferiore a 7 giorni. Colpisce soprattutto il numero dei contratti giornalieri. In Piemonte nel corso del 2019 ne sono stati stipulati 80.332, l’11,2% del totale”

Altra responsabilità sociale dell’impresa verso e per i giovani è la ricerca di personale sovra istruito per mansioni meno qualificate del titolo di studio conseguito dai giovani. Il target di selezione delle imprese è troppo alto e spesso viene richiesto un diploma tecnico per svolgere mansioni di terzo livello. Quindi non è un problema di sovra istruzione, ed è plausibile che i giovani diplomati/laureati rifiutino determinati lavori creando una sconnessione tra offerta e domanda. Allora bisogna recuperare e intervenire su una fascia di disoccupazione giovanile senza titolo di studio superiore a cui le imprese dovrebbero rivolgersi per i lavori meno qualificati e ce ne sono ancora tanti, monotoni, ripetitivi con tecnologie e informatizzazione basica richiedenti un addestramento e formazione abbastanza breve. Ciò consentirebbe anche di affrontare il problema della disoccupazione nelle periferie e le sue conseguenze sociali. Per contro le imprese sovente si muovono come le squadre di calcio che hanno abbandonato il vivaio e vogliono solo campioni, già a dieci anni. Il vivaio della professionalità delle imprese e quindi della sua produttività e capacità concorrenziale sta nell’apprendistato, nel percorso formativo in azienda. Qui hanno pienamente ragione le imprese perché l’apprendistato va sburocratizzato puntando al lavoro on te job senza fronzoli.

Per salvare se stesse, le imprese, devono guardare oltre il recinto attuale puntando decisamente a un ruolo connesso con il territorio che preveda “l’allevamento” della next generation scegliendo la strada della certezza del lavoro per i giovani che vuole dire costruire una società più solida socialmente e economicamente. La ripresa delle aziende, anche per chi è fortemente orientato all’export, passa per la ripresa dei consumi e i consumi passano per la certezza del lavoro. Allora si che le imprese virtuose dovrebbero avere finanziamenti strutturali per assunzioni stabili.

Ecco perché oggi bisognerebbe ribaltare il paradigma del dibattito in Italia e il vero scambio, non mi stancherò di dirlo, è nel mantenere il posto di lavoro e crearne dei nuovi quindi da una parte non licenziare e dall’altra non chiedere aumenti salariali ma tutela dell’occupazione e creazione di nuova occupazione stabile riformando il mercato del lavoro insieme.

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