Quando la burocrazia guarda altrove

Da oramai molto tempo la politica non offre uno spettacolo edificante di sé. Ovunque, sia a livello locale che nazionale, si assiste a un inesorabile crollo di valori e ideali: il trionfo del personalismo utilitaristico ha avuto la meglio su quasi tutto, soffocando chi invece crede ancora nel ruolo della rappresentanza democratica. Giunte, esecutivi e assemblee elettive nella maggior parte dei casi non riescono a dare alcuna soluzione ai problemi che la società quotidianamente denuncia, e il malessere collettivo cresce.

Altre volte su questa rubrica ho messo l’accento su uno Stato che ha rinunciato al suo ruolo, che ha scelto di vestire i panni dell’amministratore comunale, o peggio circoscrizionale. Assegnare contributi è la panacea per ogni male. Deputati e consiglieri regionali hanno perso la consapevolezza di essere detentori del potere legislativo, di avere la possibilità di progettare strategie a lungo termine e spaziare oltre le contingenze più immediate. Un limite invalidante del campo visivo che attanaglia parimenti alcuni sindaci: sovente incapaci di vedere il futuro delle loro città, poiché persi nell’accontentare singole categorie (o associazioni) e comitati di residenti.  Sono le idee a fare le spese di una così grave limitazione di prospettiva.

Gli appuntamenti elettorali sono segnati dalla crescente disaffezione degli elettori. Torino andrà alle urne l’anno prossimo (salvo imprevisti dovuti al Covid) per eleggere la nuova giunta comunale (oltre il consiglio), ma ad oggi l’unico segnale proveniente dall’imminente rinnovo delle cariche cittadine è dato dal solito balletto del “Totocandidato” a primo cittadino.

L’imminente elezione non infiamma minimamente gli animi, neppure in seguito alle dichiarazioni dell’attuale sindaca che si è detta non intenzionata a ricandidarsi. In compenso si è avviato l’inevitabile conto alla rovescia, con tanto di autorevoli personaggi intenzionati a gettarsi nell’impresa di governare la città. Tra i nomi rimbalzati dal potere mediatico abbiamo scorso quello di Massimo Giletti, giornalista decisamente schierato, e di Enzo Lavolta, esponente rampante del Pd. Segnali ineluttabili di una Torino destinata ad avvitarsi intorno a se stessa per almeno altri cinque anni.

Eppure l’antica capitale sabauda avrebbe più bisogno che mai di un rilancio sociale ed economico. Attualmente sia il centro città che la periferia languono in una palude di pesante trascuratezza, che si protrae da almeno un decennio; soffrono per servizi sociali ridotti all’osso e affidati inesorabilmente alle parrocchie; lamentano l’assenza di cure rivolte al verde e ai parchi; patiscono la poca attenzione assegnata alle piazze auliche, così come a quelle più vissute dei quartieri (già abbandonati dalle industrie), e penano per la scarsità di azioni dirette a migliorare la qualità della vita dei propri abitanti.

Quest’ultimo (la qualità della vita) è senz’altro l’aspetto più critico delle varie amministrazioni che si sono succedute sotto la Mole. La sindaca Appendino è sotto processo con l'accusa di essere corresponsabile dei drammatici fatti avvenuti in piazza San Carlo il 3 giugno 2017. A volte pure la casualità è di parte: la tragedia di quel giorno avrebbe potuto verificarsi decine di volte negli anni passati. Solamente la buona sorte infatti ha impedito in molteplici occasioni che un’onda umana colta dal panico si dirigesse verso vie di fuga tappate da venditori ambulanti abusivi, oppure da piani di evacuazione lasciati al caso.

Considerazioni che conducono inevitabilmente a valutare l’opera di una categoria dalle grandi responsabilità, ma tenuta sempre fuori dai riflettori della critica: l’alta burocrazia. I mali del Paese non sono sempre frutto di politici incapaci, poiché anche la dirigenza amministrativa sovente ha colpe di cui di rado risponde ai cittadini. L’assenza di passione per il proprio lavoro ha tristemente pervaso l’agire di tanti dirigenti pubblici, i quali hanno scelto di trasformarsi in passacarte privi di qualsiasi coinvolgimento con il territorio e i suoi abitanti.

I doveri di trasparenza degli atti della P.A., l’azione ammnistrativa diretta a tutelare i diritti e la qualità della vita dei cittadini sono in molti casi ridotti a meri principi. L’apparato dell’amministrazione funziona quando dirigenti e funzionari mettono “del loro” per tutelare i beni comuni, per garantire il trasferimento di fondi diretti a fasce deboli o a progetti di sviluppo (o del patrimonio culturale), per non far cadere i propri uffici nella routine del lavorare solo per arrivare a fine mese. Quando mancano figure idealiste, appassionate, nella macchina dello Stato, così come negli enti decentrati, l’esistenza di tante persone è messa letteralmente in crisi.

È lungo l’elenco degli atti dovuti riposti in un cassetto mai riaperto da chi ha il dovere di agire, così come quello delle leggi mai applicate o delle “distrazioni” nell’attuare i doverosi controlli. A volte basterebbe un tratto di penna, una firma digitale, di un “responsabile del procedimento” per salvare intere zone geografiche oppure il lavoro di molte persone. L’immobilismo di una figura apicale ha sempre conseguenze, come ad esempio il mancato pagamento dello stipendio per due/tre mesi al personale A.T.A. assunto per fronteggiare l’emergenza Covid nelle scuole: il dirigente che trascura il suo dovere riceverà ugualmente il lauto stipendio il 27, mentre le sue vittime faranno fatica a pagare due mensilità di locazione (ad oggi) e a mettere insieme il pranzo con la cena.

Sedendo dietro una scrivania e con lo stipendio garantito (che dovrebbe essere un diritto assoluto di tutti) è possibile cadere nell’autoreferenzialità, specialmente quando si dispone di un potere quasi divino. La “Buona politica” dovrebbe servire anche per controllare e rimuovere i pochi irresponsabili delle P.A. che inficiano anche il lavoro dei colleghi che si impegnano con passione per il bene collettivo.

Purtroppo però il circolo vizioso che lega ambienti politici e assunzioni/clientele nella struttura rende vana qualsiasi speranza in un Paese migliore. Con buona pace di chi è impegnato ogni giorno a combattere tra le corsie ospedaliere (medici, infermieri, oss), di chi lotta per salvare beni culturali e patrimonio architettonico, dei tanti al lavoro per garantire l’apertura delle scuole, di tutti coloro che quotidianamente tutelano i diritti della comunità: di quanti resistono seppur abbandonati dalle Istituzioni. Eroi troppo spesso dimenticati da chi invece dovrebbe proteggerli.

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