EMERGENZA SANITARIA

Sos delle Rsa: "Così non reggiamo"

I direttori delle strutture scrivono a Cirio e ai prefetti denunciando una situazione "che può pregiudicare il servizio". Continua a mancare personale che migra nelle Asl. Ancora pochi i medici di famiglia che vanno nelle case di riposo - IL REPORT della REGIONE

Continuano a mancare infermieri e operatori sociosanitari, ma c’è pure un accordo per l’accesso programmato dei medici di medicina generale nelle strutture che in molti casi è rimasto solo sulla carta. E queste sono solo due delle criticità che emergono con sempre più forza dalle Rsa piemontesi e che rischiano di mettere in serio pericolo un servizio essenziale per la popolazione anziana. 

Criticità che impongono soluzioni rapide, come richiedono un centinaio di direttori delle strutture piemontesi, in rappresentanza di oltre la metà di esse, in una lettera inviata al presidente della Regione Alberto Cirio agli assessori Luigi Icardi (Sanità) e Chiara Caucino (Welfare) ma anche a tutti i direttori generali delle Asl e ai prefetti delle province. Ed è dal fondo della lettera che bisogna partire per comprendere quanto sia grave la situazione e quanto impellenti risultino azioni fino da oggi parziali, quando vi sono state. Riferendosi alle problematiche di cui si chiede soluzione, i direttori delle Rsa le indicano come “cause che inficiano la regolarità del nostro compito e che potrebbero mettere in pericolo, se non è già accaduto, l’erogazione del servizio che – sottolineano – rientra tra i livelli di assistenza che dovrebbero essere garantiti dal Servizio sanitario regionale”. 

La carenza di personale non è, purtroppo, un problema sorto negli ultimi giorni nella strutture per anziani, ma ad aggravarlo, come sostengono i direttori, è il fatto che la quasi totalità del personale che si è dimesso e che continua a lasciare le strutture lo fa per rispondere ai bandi delle Asl e andare a lavorare negli ospedali. “Asl e Aso attingono infermieri e Oss dalle nostre piante organiche senza neppure garantire il preavviso” e lasciando dunque da un giorno all’altro post scoperti e sempre più difficili da coprire.

Alla Regione e agli altri destinatari della lettera, i vertici delle strutture denunciano anche “l’inadeguata quantificazione del parametri assistenziali in quanto il rilievo sanitario è sempre più elevato, ma non viene rilevato”. Tradotto: le commissioni delle Asl tendono a valutare sempre meno gravi le condizioni degli ospiti e di conseguenza complessi i servizi richiesti, lasciando supporre che alla base di questo via sian ancora una volta l’obiettivo di risparmiare e cercare di far tornare in conti.

Altro punto in cui vengono chiamate in causa le aziende sanitarie riguarda “l’insufficiente osservazione clinica da parte dei medici di medicina generale, in quanto l’accordo regionale per gli accesso programmati non viene applicato su buona parte delle strutture piemontesi”. E questo accade, come spiega Michele Assandri presidente regionale di Anaste, una delle associazioni che raggruppa i gestori, anche lui tra i firmatari della lettera “perché molte Asl non applicano l’integrativo per i medici stabilito dall’accordo regionale”.

C’è n’è per le Asl, ma non di meno per la Regione, nel caso specifico per il Dirmei. Dal dipartimento che governa l’emergenza Covid nei giorni scorsi era partita una circolare a tutte le Rsa disponendo l’assoluto divieto di inserire nuovi ospiti nelle strutture dove vi sia anche un solo caso di positività al Covid. Di quella disposizione era stato chiesto un parere all’Istituto Superiore di Sanità che pur raccomandando di sospendere gli ingressi ai nuovi assistiti nelle struttura fino a risoluzione del focolaio, spiegava che “può essere consentito l’ingresso di nuovi assistiti in caso siano presenti positivi, secondo la valutazione dei direttori delle strutture e in base alle possibilità delle stesse di gestire in modo completamente autonomo le aree con pazienti Covid da quelle con assistiti negativi”.

Il mancato ingresso di nuovi ospiti oltre a “causare un 20% di ricavi in media” con conseguenti ripercussioni su varie voci di bilancio incominciando dal personale, pone anche un problema: dove vanno gli anziani ai quali si chiudono le porte delle Rsa se non possono restare a casa? Negli ospedali? A questo proposito risultano interessanti i dati dell’ultima rilevazione su 639 strutture sul totale di 785. A fronte di 29.197 posti letto occupati gli anziani ricoverati in ospedale sono 441 pari all’1,51%, mentre su 20,359 tamponi eseguiti (molecolari e rapidi) i positivi accertati sono 2528 pari al 12,42%. Decisamente più bassa la percentuale per quanto riguarda il personale che raggiunge il 5,32% a fronte di 773 positivi su 14537 tamponi effettuati.

QUI IL REPORT SULLE RSA

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