Incapaci a investire (e spendere)

Come saranno spesi i 209 miliardi del Recovery Plan? Come il delta del Po temo, in mille rivoli non significativi dando molti contentini e scontentando tutti. Sarebbe la peggiore soluzione che la politica di maggioranza e opposizione potrebbe trovare. Sì, tutti insieme appassionatamente perché come si è notato appena i “cespugli” governativi e l’azionista di maggioranza della destra, hanno capito che il Parlamento avrebbe approvato il Recovery Plan hanno subito alzato barricate o si resi disponibili a condividere scelte con la maggioranza.

Se la “grupia” è piena ognuno cerca un posto alla mangiatoia e purtroppo è un brutto segnale con cui non si vuole imparare nulla dal passato e non si pensa al futuro.

Recenti sondaggi danno come uno dei problemi principali della mancanza di prospettiva la vacuità della classe dirigente nazionale e piemontese, Torino in particolare. Lo dice una ricerca KKienn sull’umore della città in cui il giudizio negativo non è sulle 100 persone che decidono a Torino ma è su un campione, ben più ampio di dirigenti pubblici e privati, imprenditori, primari, direttori, politici e anche il sindacato, purtroppo, non è ben piazzato. 

Questo lo si evince, anche, sia dai progetti contenuti nel PSRR del Governo, di cui ho già scritto in passato, sia dal Piano Metropolitano 2021-2023.

Siamo agli elenchi general generici e in particolare su un Piano Metropolitano (che poi, essendo di due anni, che Piano è?) dove non si pone, tra l’altro, l’industria automotive come uno dei cardini trainanti dell’economia territoriale, con la sue produzioni elettriche e ibride: è n Piano che non ha coraggio e non guarda a cosa c’è nel territorio con la sua ricchezza industriale e tecnologica.

Siamo sempre all’incapacità di visione torinese, però poi in tutte le analisi economiche del territorio quando crolla l’export vediamo che è sempre il settore dei trasporti (cioè la produzione di auto e di parti di auto, cioè l’indotto) che determina il parametro essenziale per la bilancia commerciale locale e su cui si costruiscono titoli di giornali e analisi lamentose.

Ora ci toccherà una “bella fetta” del Recovery Plan, sapremo spenderli? Perché questo è il punto e per spenderli ci vogliono progetti concreti. Non assistenzialismo “ristorante”.

Cosa è successo finora? Se si guarda l’European Structural and Investment Funds si può verificare che ad oggi l’Italia su 75 miliardi di euro stanziati a suo favore dal bilancio 2014-2020 ne ha decisi 54 miliardi con progetti pari al 73% del totale e spesi solo 26 miliardi pari al 35% del totale. Inoltre, la presidente della Commissione europea preso atto delle difficoltà che l’Italia aveva dimostrato nel progettare e poi spendere i finanziamenti europei è corsa in soccorso al Bel Paese con una deroga speciale. “Poiché ci sono fondi strutturali inutilizzati che l’Italia avrebbe dovuto restituire, abbiamo deciso invece di lasciarveli, per spenderli dove saranno più utili. Per esempio sul mercato del lavoro. Sono undici miliardi”.

Massima flessibilità per l’Italia dunque ma uno dei problemi principali è l’inefficienza e le mancate competenze degli apparati regionali a presentare progetti e a realizzarli fattivamente. Allora, forse tra ciò che vorrebbe Conte e i niet, in parte strumentali e lo vedremo in futuro, di Renzi c’è effettivamente un problema per cui bisogna bypassare la burocrazia nazionale e regionale ma non la politica. Governo e Parlamento devono dare le linee di indirizzo e poi ci vanno “luoghi” e competenze per realizzare i progetti con cui spendere i 209 miliardi e tutto ciò non può certamente farlo solo lo stato attuale della pubblica amministrazione insieme alle Regioni.

Anche perché una classifica di chi spende è comunque un primo elemento di valutazione e di messa a fuoco dell’efficienza delle amministrazioni e della capacità, a volte anche politica, di utilizzare i fondi strutturali europei di cui l’Italia è il secondo beneficiario.

I programmi europei che hanno superato la soglia del 40% nella certificazione delle spese rispetto alla dotazione complessiva dei fondi sono cinque, con in testa il Por Piemonte del Fondo sociale che sfiora il 50 per cento. Quindi non male il posizionamento del Piemonte, poca la spesa fatta.

L’incapacità italica sta nell’interpretazione dell’alternanza politica che  tende a “smontare” ciò che hanno fatto le gestione precedenti. “Sui tre principali fondi europei indiretti gestiti dalla Regione, il Piemonte è fortemente in ritardo”, dichiarava  l’eurodeputato Alberto Cirio. Era il 22 maggio 2018. Cirio spiegava: “Su quasi 3 miliardi di euro assegnati dalla programmazione europea al Piemonte per il periodo 2014-2020, al momento le risorse già allocate sui diversi bandi sono solo un terzo, circa 990 milioni, e quelle spese e già arrivate nelle tasche dei cittadini e del territorio ancora meno, solo 420 milioni di euro. Su due Fondi in particolare il Piemonte è tra le regioni che si posizionano al fondo della classifica italiana per l’uso delle risorse europee...”.

Poi, esattamente un anno dopo, diventa presidente della Regione e dall’opposizione passa al governo regionale e venti giorni dopo, il 18 giugno 2019, alla riunione annuale del Comitato di sorveglianza dei programmi operativi del Fondo europeo di sviluppo regionale e del Fondo sociale europeo il Presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio dice: “Finora il Piemonte ha ottenuto risultati positivi in molti settori ed è in linea con le Regioni italiane, ma non è nella media delle Regioni europee”

Ora i casi sono due: o in un mese il centrodestra ha raddrizzato la situazione precedente oppure siamo sempre in campagna elettorale.

Purtroppo è consolidato il fatto che la capacità di sapere programmare, pianificare, progettare e spendere dipenda anche dal modo in cui si fa politica, dal sistema elettorale che non determina mai una maggioranza solida, chiara e duratura. Senza nostalgia ma almeno nel consociativismo così vituperato successivamente i ruoli tra Dc e Pci erano chiari.

Siamo nel pieno del Delta del Po, un forte fiume che si divide in mille bocche. Almeno il delta del Po fertilizza e produce economia. Con il Recovery Plan temo non accadrà perché bisognerà scegliere e scegliere vuol dire indirizzare, dare priorità e… scontentare qualcuno. Insomma, essere leader e non populisti.

 La politica odierna è pronta?

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