Il coraggio di essere coraggiosi

La democrazia sindacale esercitata dai lavoratori tramite referendum è una variabile dipendente dall’opportunismo della Fiom. Si può sintetizzare così l’ultima scelta di codesta organizzazione sindacale che non ha firmato l’accordo Pininfarina Engineering, approvato dal 68,5% dei lavoratori.

Questa scelta è utile per approfondire due temi come la democrazia sindacale e l’unità sindacale. Quale base può avere l’unità sindacale? Sicuramente il pluralismo delle scelte di fronte a una decisione dei lavoratori tramite referendum. Allora perché non viene sempre rispettato dalla Fiom? In Fca, in Skf, ora in Pininfarina la storia sindacale torinese ha tante pietre miliari in cui la volontà dei lavoratori si divarica dalla Fiom. D’altra parte nella vicenda Fiat del 2010, la Fiom ha difeso più la propria organizzazione, partendo dal presupposto della elusività della rappresentanza, salvo in tempi più recenti riconoscere che su Mirafiori si sono fatti sbagli. Chi conserva la memoria storica deve avere anche tanta pazienza affinché vengano riconosciute giuste le sue scelte. 

Tornando alla democrazia sindacale essa viene esercitata in modo diverso dalle organizzazioni, in Fim ma direi in Cisl, il voto è sempre rispettato. Quindi non è una variabile ma una costante, lineare e coerente dell’agire sindacale. In altri sindacati la democrazia sindacale, cioè il rispetto del voto dei lavoratori, è subordinato alla valutazione politica dell’organizzazione.

Valutazione che ha poi più variabili: 1) è un ricatto; 2) non si può votare quando si licenzia. Quindi quando un accordo riguarda il futuro dei lavoratori devono essere i sindacati e non i lavoratori a decidere? Pertanto l’esercizio della democrazia sindacale diretta, propugnata dalla Fiom, non è un diritto dei lavoratori ma è un diritto dei lavoratori solo se la Fiom ritiene che lo debba essere.

C’è poi ancora un’altra variabile in questo “complesso” esercizio della democrazia sindacale da parte di alcuni sindacati. Dopo la mancata firma del Contratto Nazionale del 2001 da parte della Fiom, la stessa decise che le procedure di applicazione della mobilità attraverso la Legge 223/91 fossero a esclusiva pertinenza dell’organizzazione sindacale e non delle Rsu di fabbrica. In effetti la legge ha questo orientamento. Per un buon decennio la Fiom si oppose alla stragrande maggioranza degli accordi di questo tipo, che erano tutti con adesione volontaria e incentivata, ovvero i due requisiti che ponevano gli altri sindacati per firmare.

Questo atteggiamento negli ultimi anni è cambiato radicalmente e quindi molto frequentemente la Fiom lascia che a firmare siano le Rsu. Ovvero, l’esatto contrario. Anche qui la coerenza diventa una variabile insieme alla democrazia sindacale e al ruolo delle Rsu, a seconda della convenienza. Ma soprattutto la presa d’atto che quella posizione negli anni aveva provocato alla Fiom molti dissensi interni tra le Rsu. Accadeva che Rsu Fiom, nonostante i dissidi con la Fim, appena andavano in mobilità venivano da noi a farsi firmare i verbali di conciliazione. Quanti? Tanti.

Se la bandiera della Fiom degli ultimi venti anni, cioè dal “fatidico” 2001 è “i lavoratori devono sempre decidere”, vedete che non è stato perseguito linearmente come un sindacato, invece, dovrebbe fare ma piuttosto agendo come un movimento d’opinione che cambia idea alla bisogna. Di questo i lavoratori se ne sono accorti e purtroppo hanno scelto altri orientamenti politici per farsi rappresentare. Uno dei mali della sinistra radicale.

La crisi del sindacato deriva anche da questa scelta compiuta nei primi anni duemila dalla Cgil cofferatiana e la Fiom di Sabatini che “sposarono” più o meno in successione Di Pietro con l’Italia dei Valori, i girotondi, i No Tav, Rivoluzione Sociale, e il continuo variare del nome della sinistra da Rifondazione a Leu passando da Sel e quant’altro.  Diventava impossibile, mentre la crisi “mordeva il sedere” e riduceva i salari, seguire il movimentismo del maggiore sindacato italiano snaturando l’identità contrattualista della Cisl.

Gli accordi sindacali sono sempre una mediazione tra le parti, se sei forte saranno un po’ più sbilanciati verso i lavoratori; se sei debole devi difenderti con l’accordo sindacale. E la regola che è meglio un pessimo accordo ma unitario piuttosto che un buon accordo ma separato è “morta e sepolta” da un pezzo.

Difficile perciò realizzare il secondo punto, cioè l’unità sindacale. Si può immaginare l’unità d’azione sindacale con la valorizzazione del pluralismo sindacale quando vi sono opinioni divergenti. Chi può sciogliere l’opinione divergente? Il voto dei lavoratori. Pertanto il voto non può essere una variabile dipendente dall’umore di un sindacato ma deve essere fattore vincolante nel fare decidere i lavoratori, a maggior ragione se le scelte sindacali divergono.

Ci sono tre parametri su cui ho misurato l’azione sindacale negli ultimi anni: l’ipocrisia sindacale, la coerenza delle scelte, la linearità  delle azioni. Se si rispettano questi tre presupposti si può essere apprezzati dai lavoratori che ti daranno consenso come nel caso Pininfarina Engineering.

D’altra parte, sino a quando ero segretario, circolava un’indiscrezione e cioè che la raccolta dati sulla rappresentanza a livello nazionale dava la Cgil come sindacato di maggioranza relativa tra la miriade di sindacati maggiormente rappresentativi. Stranamente o forse no, non ho mai sentito o visto forzature su questo argomento da parte di chi ne avrebbe convenienza: posso firmare accordi anche da solo. Sarà rispetto verso gi altri sindacati? Può essere. Ma può anche essere avere paura della democrazia, perché firmare un accordo da solo significa poi doverti assumere delle responsabilità, da solo, verso i lavoratori.

Ci vanno, allora, ulteriori parametri: il coraggio delle proprie azioni, il coraggio di assumersi in prima persona le responsabilità, il coraggio di fare delle scelte, il coraggio di essere coraggiosi. Ancora una volta la Fim-Cisl con l’accordo Pininfarina Engineering, approvato dai lavoratori, ha avuto tutti questi “coraggi”.

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