Che i fatalisti alzino le spalle

I cordoni sanitari rallentano la fuga degli infetti e dei sospetti infetti, e in ogni caso calmano e rassicurano le popolazioni minacciate. Lasciam dunque che i negozianti sbraitino, che i fatalisti alzino le spalle e serbiamoci i nostri bravi cordoni sanitari”. Il capoverso potrebbe essere tratto da uno dei tanti Dpcm varati in epoca Covid19, ma alcuni vocaboli oramai desueti svelano la sua vera epoca di pubblicazione: si tratta infatti di un estratto dal libro “Codice igienico popolare contro il Colera” edito a Firenze nel lontano 1884 (e portato alla nostra attenzione grazie all’opera dell’ex bibliotecario, nonché instancabile “investigatore” degli archivi storici, Angelo Toppino).

Il documento è di grande attualità, malgrado la sua età più che centenaria, e ripropone pratiche ancor più vecchie, poiché risalenti alle prime epidemie che sconvolsero le comunità della nostra penisola. Il meccanismo di difesa sociale è sempre lo stesso da secoli: arriva un virus che miete le prime vittime e, valutata la sua pericolosità, scatta il cordone sanitario, accompagnato dalle inevitabili proteste dei settori economici costretti a chiudere i battenti e dallo scetticismo dei “fatalisti”.

Quest’ultimo termine è il più interessante tra quelli che compongono il testo ottocentesco. Il vocabolo infatti oggi potrebbe riferirsi alla categoria sociale battezzata dai media “negazionista”. Fatalismo, ossia (secondo il dizionario) visione di un mondo governato da necessità ineluttabili, estranee alla volontà dell’essere umano, di fronte alle quali consegue un atteggiamento personale rassegnato e passivo agli eventi.

Quando gli accadimenti sono ingestibili, per la loro enormità, le reazioni si distinguono in due categorie, legittime e dignitose entrambe: la lotta a oltranza, oppure la resa incondizionata. Essere “fatalisti” al presentarsi di sfide naturali su larga scala è una posizione difficile da condividere, ma comprensibile. Il Covid19 è fonte di molte risposte “passive” e altre invece di stampo egoistico. Basta passeggiare nel centro di Torino per imbattersi in parecchie persone sprovviste di mascherina (o qualsiasi altra protezione) che mostrano inoltre un sorriso beffardo: un “vada come vuole” sovente causa però di effetti in capo ad altri. Esempio di come non rispettare il prossimo proteggendolo dal contagio, tramite piccoli accorgimenti, esuli dal “fatalismo”, poiché la paura mascherata da menefreghismo genera individualismo allo stato puro.

Preoccupa come la rassegnazione abbia libero e pieno accesso anche in ambiti paralleli all’epidemia in corso. Il riferimento è rivolto a tutte quelle situazioni ingessate da mesi, dove sono in gioco i diritti e la dignità di una moltitudine di persone. Tra queste spicca lo stallo in cui languono i lavoratori Ata assunti per affrontare l’emergenza virale nelle scuole, ai quali sono stati assegnati codici errati di inserimento nell’organico e che di conseguenza non percepiscono stipendio da oramai quattro mesi: il loro Natale si annuncia ricco di sacrifici e sofferenza per l’ingiustizia subita.

La vicenda che riguarda alcuni collaboratori scolastici è assurda da più punti vista, compresa l’impossibilità di individuare chi abbia commesso la svista nel trascrivere i codici e, di conseguenza, chi possa porvi rimedio. Le vittime di questa situazione kafkiana assistono a un continuo rimpallo di responsabilità tra Miur-Mef e istituti scolastici senza mai vedere, in compenso, un qualsiasi cedolino.

Non è possibile rimanere impassibili neppure su una questione che affronto spesso su questa rubrica: il saccheggio perpetuato ai danni della Sanità pubblica. In questi mesi di emergenza sanitaria ospedali e Asl non accettano più prenotazioni per visite specialistiche ed esami diagnostici. Vi sono però delle eccezioni alla regola, come nel caso in cui il paziente metta mano al portafoglio per pagare le prestazioni mediche necessarie. Magicamente, con i soldi si può accedere a specialisti e macchinari ospedalieri, mentre pensionati con la “minima” e disoccupati devono necessariamente attendere tempi migliori per poter curare le loro patologie (gravi o solamente fastidiose esse siano).

Il fatalismo, innanzi a un virus che evidenzia la differenza di appartenenza sociale e l’iniquità, non è mai ammissibile. Allo stesso modo è incomprensibile l’incertezza con cui la Politica si dedica al varo della cosiddetta “Patrimoniale”: tassa che non interessa i piccoli investimenti, e quindi la classe media, ma diretta a colpire le grandi ricchezze di coloro che reggono le sorti economiche e finanziarie del Paese.

A pensar male verrebbe da ipotizzare un fatalismo negazionista (nei riguardi della situazione epidemica) funzionale alla distrazione di massa: un modo per soprassedere alle ingiustizie e alle sofferenze reali. Basterebbe riflettere di tanto in tanto sui bombardamenti effettuati negli scorsi anni in Medio Oriente e in Serbia con il fine di “esportare la nostra Democrazia”: esercizio utile a constatare come sia poca cosa una mascherina sul naso in confronto alla sofferenza di chi ha vissuto la distruzione delle proprie città.

Serene Feste a tutte e a tutti voi, con l’augurio di un Natale non sacrificato al consumismo, ma celebrato almeno quest’anno nel nome della solidarietà collettiva.

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