Torino e i partiti, forse un segnale positivo

Il tormentone della scelta del candidato a sindaco nel campo del centrosinistra a Torino non è nuovo né particolarmente originale. Semplicemente, ripropone – forse per la prima volta dopo anni di ubriacatura nuovista – il nodo decisivo di chi è deputato a scegliere la classe dirigente. Detto in altri termini, come si deve selezionare la classe dirigente politica/amministrativa.

Per un lungo arco di tempo, il dogma delle primarie ha soppiantato e sostituito qualunque altro criterio. Qualunque fosse la sfida e qualunque fosse il livello istituzionale calava sempre l’insindacabile delega al “dio primarie”. Tramontata questa moda – ormai legata per la sua realizzabilità a fattori ambientali – dovrebbe ritornare in campo la politica. Ovvero, ciò che resta dei partiti. Perché, come tutti sappiamo, i partiti oggi sono o semplici prolungamenti del “capo” oppure dei collaudati cartelli elettorali che nulla hanno a che fare, purtroppo, con le tradizionali organizzazioni politiche e democratiche del passato. Comunque sia, nell’un caso come nell’altro saranno nuovamente i gruppi dirigenti dei partiti a scegliere la classe dirigente a livello locale. E quindi anche il candidato a sindaco della città di Torino. Certo, dopo aver percorso i vari passaggi: dal solito ed intramontabile “comitato dei saggi” che dovrà consultare le innumerevoli bande o correnti interne al partito al confronto con gli altri partiti della coalizione; dal dialogo con la sempreverde società civile al “parere” delle figure più autorevoli della città e del suo hinterland.

Insomma, dopo un’ampia consultazione democratica. Ma, al di là di questi bizantinismi, il dato politico centrale che finalmente riemerge dalle ceneri del nuovismo è che i partiti – a prescindere dal loro profilo e dalla loro natura politica ed organizzativa – ritornano centrali attorno ad un aspetto decisivo: e cioè, la selezione della propria classe dirigente. Nel caso specifico, della classe dirigente potenzialmente destinata a governare la città di Torino. Un aspetto, questo, rilevante sotto il profilo democratico. Anche perché, e la riflessione credo sia più che legittima, non si capirebbe il ruolo dei partiti – anche se ormai, com’è evidente a tutti, hanno smarrito le proprie culture di riferimento e le tradizionali organizzazioni democratiche – se continuassero a rinunciare al loro compito precipuo: ovvero selezionare la propria classe dirigente.

Ecco perché, anche dalla vicenda apparentemente intricata e complessa della scelta del candidato a sindaco della città di Torino, può arrivare una segnale importante per ripristinare la cosiddetta “democrazia dei partiti” da un lato e, al contempo, per cercare di ridare qualità e autorevolezza alla futura classe dirigente. Un doppio risultato positivo che non potrebbe che essere salutato con simpatia e incoraggiamento per la stessa salute e qualità della nostra democrazia.

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