Eroe per un giorno

L’atterraggio di cospicui fondi pubblici attira sempre molte attenzioni. Faccendieri vari spalancano gli occhi e attivano tutti i sensi per anticipare le mosse di chi erogherà i contributi, generando il pensiero malandrino “Mi riempio le tasche a qualsiasi costo”. Non stupisce quindi come l’annuncio dell’arrivo di una pioggia di soldi abbia avuto un effetto tellurico sulla politica italica. Denaro significa sempre potere che si rafforza distribuendo soldi a lobby, apparati e potentati vari.

Il premier Conte è stato un nemo profeta in patria. Il presidente durante un’intervista, rilasciata prima di Natale, manifestò la sua viva preoccupazione per i contraccolpi dovuti al Recovery Fund, che si traduceva nel timore di una destabilizzazione degli equilibri parlamentari nell’attimo in cui avrebbero preso forma i progetti finanziari. Come previsto, Conte è caduto in seguito ad azioni oscure ordite nelle stanze dei bottoni, e il suo killer paradossalmente è stato colui che aveva creato il governo giallo-rosso: Matteo Renzi. L’ex sindaco di Firenze non ha mai davvero meditato una sintesi tra le diverse posizioni dei propri alleati, dopo la crisi aperta dai ministri di Italia Viva. Il gioco del “più 1”, messo in campo sin da subito, ha consentito di portare avanti una tattica utile a togliere autorevolezza al primo ministro. Il nome di Draghi in realtà volteggiava già nel cielo sopra Palazzo Chigi sin dalla scissione di Italia Viva a danno del Pd.

Siamo, noi italiani, abituati ai “salvatori della Patria” che si manifestano quando la politica arranca, e ha il fiato corto a causa degli ostacoli messi nel suo cammino da burattinai vari. Teorici plenipotenziali si affacciano solitamente su scenari distrutti, e arrivano alla guida di carri su cui tutti i partiti sono pronti ad arrampicarsi. Un “Si salvi chi può” inquietante e generatore di confusione nel sempre più smarrito elettorato.

In questi giorni il professore “Salva-euro” raccoglie i favori anche di coloro che in passato lo hanno criticato duramente, come Matteo Salvini, o di chi ha giurato fedeltà assoluta all’imprescindibile Conte, definito unico punto di equilibrio, (la vecchia maggioranza a esclusione di Renzi): una massa eterogenea colpita all’improvviso dalla luce salvifica che l’ha magicamente mutata in blocco omogeneo.

Lo spettacolo offerto dalla grande amalgama concede penosi spunti di riflessione, oltre alla rappresentazione di una Politica sconfitta e retta sempre meno da statisti. Sconcerta riscontrare come il piano di ricostruzione post pandemico europeo, il Recovery, sia il vero nodo da sciogliere intorno a cui si agitano le correnti parlamentari: un tesoro da gestire su cui si condensano incontenibili voglie.

I miliardi di Bruxelles non lasciano spazio ad altri temi, malgrado la loro importanza. Il Lavoro, oramai svilito dalle delocalizzazioni e dallo smart working, è totalmente sparito dall’attenzione pubblica, nonché dall’agenda politica: fenomeno che riguarda soprattutto i diritti dei lavoratori. La tenacia con cui gli operai della Embraco scendono in piazza è la drammatica dimostrazione dei diritti negati; allo stesso modo lo è la situazione incredibile (kafkiana) in cui versano i precari Covid della scuola: senza stipendio dal mese di settembre a causa di un semplice e forse irreversibile errore compiuto trascrivendo un codice (burocrazia eccessivamente “distratta”).

Matteo Salvini invoca il modello lombardo quale virtuoso esempio da cui Draghi può attingere a piene mani. Un’affermazione che ha scatenato ilarità tra tutti coloro che constatano quotidianamente la tragica gestione emergenziale da parte del governo regionale Fontana, con annesse dimissioni dell’assessore alla Sanità Gallera: propaganda manipolatoria della realtà, seppur utile a legittimare l’inedita ammucchiata.

Un quadro generale davvero triste e forse destinato a trasformarsi in tinte molto cupe se i primi annunci programmatici diventeranno atti legislativi. Tra questi colpisce la riforma della pubblica amministrazione, la quale prevede di assegnare una maggiore autonomia ai dirigenti dell’apparato statale: funzionari apicali abituati a ragionare in termini di obiettivi, linee guida, e quindi sovente incapaci di risolvere i problemi complessi con l’importante sostegno della creatività (nei termini di legge). Il pensiero torna a quei lavoratori della scuola: simbolo di un metodo che rischia di diventare prassi.

Oggi eroi, domani responsabili di tagli e privatizzazioni selvagge.

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