Quel mito appannato di Bose

Nel mondo cattolico progressista, ma anche in quello laico, sta suscitando un gran clamore la vicenda che vede coinvolti Enzo Bianchi e la comunità da lui fondata nel 1965 a Bose, sulle colline biellesi. Lo scorso 13 maggio 2020, un «decreto singolare» firmato dal segretario di stato cardinale Pietro Parolin e con la «speciale approvazione del Santo Padre», e quindi inappellabile, imponeva ad Enzo Bianchi e a tre dei suoi fedelissimi, due monaci e una monaca, di trasferirsi altrove a causa – questa fu l’unica spiegazione fornita – «dell’esercizio dell’autorità del fondatore». Il provvedimento, faceva seguito ad una visita apostolica che aveva messo in luce  nella comunità varie criticità, in particolare quella per cui Bianchi avrebbe continuato a fare il «priore ombra» esautorando, nei fatti, Luciano Manicardi a lui  succeduto nel 2017. Un avvicendamento che evidentemente non aveva funzionato.

Apparentemente, Enzo Bianchi accettava il provvedimento vaticano ma, in realtà, non obbediva, rimanendo a Bose e continuando a ricevere visite e fondando addirittura un sito internet, nonché continuando a scrivere e a pubblicare sui giornali i suoi densi editoriali. Pochi giorni fa, ed esattamente l’8 febbraio, il delegato pontificio che da oltre un anno ha in mano l’affaire, prendendo atto che Bianchi aveva rifiutato di allontanarsi da Bose, imponeva allo stesso di lasciare entro una settimana la comunità nel Biellese e di trasferirsi a Cellole di S. Gemignano, sede toscana di Bose, che avrebbe però nel contempo perso qualsiasi connotazione monastica venendo ceduta in comodato gratuito all’ex priore. Un provvedimento disciplinare pesante contro cui si sono levate le voci di protesta di autorevoli commentatori come Alberto Melloni e Massimo Recalcati. Molti si chiedono se questa volta Bianchi obbedirà.

Nel tempo, Bose e il verbo del suo fondatore erano diventati un punto di riferimento del mondo cattolico più ecumenico e si diceva che per i vescovi piemontesi il magistero a cui attingevano, più che a Roma, si trovasse sulle colline della Serra ed era noto come Bianchi avesse voce in capitolo nella loro nomina. Pare  che il povero vescovo di Biella, mons. Roberto Farinella, non abbia avuto animo di notificare ad Enzo Bianchi il primo provvedimento vaticano ed abbia fatto ricorso al metropolita, l’arcivescovo di Vercelli,  monsignor Marco Arnolfo. Sul settimanale diocesano torinese La Voce del Tempo, di domenica 14 febbraio, è stata pubblicata la  dura reprimenda di una lettrice al direttore, colpevole di aver ospitato tempo prima una meditazione del successore di Enzo Bianchi, Manicardi, sull’enciclica di papa Francesco «Fratelli tutti».

La vicenda, insomma, apre squarci inquietanti su quel «nuovo modello» di monachesimo che pretendeva di fare scuola nella Chiesa e presenta aspetti ancora oscuri. Molti infatti si chiedono quali siano i veri motivi che hanno determinato l’applicazione di misure tanto severe. Per adesso, in ogni caso, il “mito” di Enzo Bianchi e di Bose, se non infranto, appare seriamente vulnerato. Non sono in pochi a domandarsi come ci si possa ergere a maestri di ecumenismo, quando non si è in grado di esercitare la fraternità in casa propria.

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