LOTTA AL COVID

Vaccino italiano, Torino parte
(ultima) con la sperimentazione

Solo da metà aprile i test su ReiThera all'Amedeo di Savoia. Intoppi all'Aifa hanno rallentato l'iter. Di Perri: "Abbiamo dato la nostra disponibilità tre mesi fa". Saranno reclutate decine di volontari. A Vercelli già somministrate decine di dosi (e di placebo)

Qualche intoppo c’è stato. Qualcuno indica, ancora una volta, l’Aifa come responsabile di un’eccessiva burocrazia e cavillosità. Un fatto è certo: a Torino la sperimentazione del vaccino italiano ReiThera non è ancora partita, al contrario di quanto accade in altre regioni, ma addirittura restando anche all’interno dei confini piemontesi visto che all’ospedale di Vercelli le prime iniezioni sono state fatte ormai dieci giorni fa.

“Credo che partiremo tra un paio di settimane”, spiega Giovanni Di Perri, primario infettivologo dell’Amedeo di Savoia, l’ospedale che insieme a quello di Vercelli è stato individuato in Piemonte come centro per la sperimentazione. Un ritardo non da poco se si considera che ieri all’ospedale di Piacenza sono arrivate in un giorno 150 iscrizioni da parte di persone disponibili a farsi iniettare il vaccino o il placebo senza ovviamente conoscere il contenuto della fiala. Corsa a iscriversi anche a Ferrara così come a Palermo dove una settimana fa erano già più di 500 i volontari. Perché il grande ospedale torinese, un’eccellenza dell’infettivologia come è stato ulteriormente dimostrato dalla pandemia, è ancora fermo al palo? 

Una motivazione chiara e ufficiale non è semplice trovarla, anche se pare ci siano stati problemi con l’Aifa per quanto riguarda il comitato etico, uno degli organismi previsti per questo genere di sperimentazioni. Logico chiedersi, come stanno facendo in molti e tra questi non pochi interessati a partecipare ai test, come sia possibile che mentre a Vercelli e in moltissimi dei 26 centri individuati nel Paese si stia procedendo mentre a Torino bisognerà aspettare almeno fino alla metà di aprile. “Non è una corsa, la sperimentazione durerà mesi”, avverte Di Perri stimando in circa una quarantina di persone quelle che saranno scelte per effettuare il test. “Sarà una platea molto varia, al di sopra dei 18 anni, escludendo ovviamente alcune patologie come quelle oncologiche che impongono la chemioterapia, così come saranno esclusi coloro che hanno avuto il Covid”. 

Il protocollo prevede che alla metà dei volontari venga data una soluzione fisiologica, insomma un placebo, mentre l’altra metà sarà suddivisa in chi riceverà due dosi a distanza di 21 giorni e chi dopo la prima dose di vaccino riceverà la seconda di placebo. Di dosi al Sant’Andrea di Vercelli solo il primo giorno di somministrazione, lo scorso 19 marzo, ne sono state inoculate 30, poi nei giorni successivi si è praticamente completata la distribuzione ai circa 80 volontari. Tra questi anche il sindaco della città Andrea Corsaro e il suo collega di Borgosesia, nonché parlamentare della Lega, Paolo Tiramani. “La febbre alta avuta poche ore dopo e sparita abbastanza in fretta, mi ha convinto che non mi sia stato somministrato il placebo”, racconta il deputato. “Inizialmente pensavamo che sarebbe stato difficile l’arruolamento di volontari – ammette il primario di infettivologia Silvio Borrè – invece abbiamo riscontrato una grande sensibilità delle persone su questo tema”.

Alla fase due, quella attualmente in corso, seguirà la tre che prevede un numero molto più grande di volontari, alcune migliaia, per testare il primo vaccino italiano, sviluppato dalla società farmaceutica di Castel Romano sul quale si concentrano molte aspettative, sia pure considerando i tempi necessari per completare la sperimentazione, a fronte delle difficoltà di approvvigionamento che permangono per i prodotti attualmente autorizzati. “Ci sono tutti i presupposti perché sia un vaccino che funzioni bene e se come pare potrebbe essere somministrato in un’unica dose questo aumenterebbe enormemente i vantaggi”, osserva Di Perri che diede la disponibilità allo Spallanzani di Roma per effettuare la sperimentazioni già tre mesi fa. Poi, proprio a Roma, qualcosa si è inceppato. E a Torino ancora non si parte.

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