Un po' di coraggio

Torino in passato è stata definita la “città del laboratorio politico”, poiché era la metropoli dove si sperimentavano alleanze inedite e nuovi percorsi amministrativi. L’Ulivo di prodiana memoria, ad esempio, ha avuto il prologo in occasione delle elezioni torinesi del 2001: anno in cui nelle circoscrizioni si è scelto di collaudare coalizioni allargate a Sinistra, poi trasformate in compagine elettorale (vincente) alle consultazioni parlamentari del 2003.

Non è a prima volta che indico il capoluogo subalpino quale ambito vivace nella sperimentazione politica: purtroppo diventa naturale guardare al passato quando il presente non regala emozioni positive, e neppure speranze. 

Rompere gli schemi acquisiti nel tempo non è mai cosa facile. L’azione di cambiamento richiede coraggio da parte dei quadri partitici, oltre a una grande forza nel sapersi mettere in gioco. Lo stravolgimento di modelli apparentemente sicuri è generalmente visto quale frutto dell’incoscienza, oppure di un piroettare dalle conseguenze imprevedibili.  Giudizi avventati, ingiusti, generati dalla paura, che non tengono minimamente conto della devastazione portata dall’entropia, dall’immutabilità delle cose sino alla loro morte.

La Politica infatti può essere definita tale quando l’analisi lucida della società si accompagna alla prospettiva di lungo periodo e a un pizzico di utopia: elementi di forza e probabili precorritori di insperate vittorie. I veri innovatori sono coloro che riescono a cogliere questi aspetti: chi con convinzione mette in un angolo gli interessi personali e le prospettive di breve respiro (il piccolo cabotaggio) a vantaggio del bene collettivo. Il diffondersi di liste ad personam, assemblate per appagare le mire di un singolo, è senz’altro motivo di grande sconforto per coloro che ancora credono nel primato comunitario. Le ambizioni personali di rado sono conciliabili con quei percorsi di sintesi che le ampie intese richiedono.

Quanto sta accadendo all’interno del Centrosinistra torinese è la rappresentazione di un grave immobilismo, di un’inerzia che sfiora l’autolesionismo e pure il sadismo a danno dei propri militanti e dei simpatizzanti. Il leader dei Moderati ha fatto di recente un quadro condivisibile della situazione: “Fossimo in una maratona il nostro avversario avrebbe già un vantaggio di 10 chilometri”. Raffigurazione efficace, ma alla quale è doveroso aggiungere le ragioni di un così grande distacco: l’avversario guadagna terreno verso l’agognato traguardo per meriti propri, oppure per demeriti degli altri competitori.

Torino assiste da mesi a una interminabile bagarre politica tra gli avversari di Damilano (designato dalla Lega). I suoi antagonisti non hanno ancora avviato la ricerca di punti comuni da cui partire per fare sintesi. Come già scritto precedentemente in questa rubrica, il Centrosinistra ha prodotto soprattutto una raffica di autocandidature e numerosi veti incrociati (a scapito delle indicazioni nazionali).

A due mesi dalla scadenza normale (non prorogata) dell’amministrazione in carica vi sono solamente due candidati ufficiosi al ruolo di sindaco: Paolo Damilano, imprenditore della ristorazione e delle acque in bottiglia (nonché presidente della Piemonte Film Commission) in quota al Centrodestra, e il professore di Diritto Costituzionale Ugo Mattei (presidente nazionale di “Generazioni Future”) candidato per la lista Futura e noto per l’impegno a difesa dell’acqua pubblica.

La situazione attuale richiederebbe un mondo politico intriso di fantasia e tanta temerarietà, sia nelle alleanze elettorali che nelle azioni legislative. La pandemia ha creato una condizione sociale davvero pericolosa. Molti settori commerciali sono quasi sul lastrico, mentre altri hanno visto lievitare in modo esponenziale i propri profitti.

Non occorre aver studiato Il Capitale, e neppure tutte le altre opere di Karl Marx, per intuire lo stato di agonia in cui versa la già malconcia equità sociale. Sono molti gli esempi a cui attingere per avere conferma delle nuove disuguaglianze che l’epidemia ha generato in quest’ultimo anno. A fronte dell’entrata in borsa delle società che consegnano cibo in casa tramite le corse dei riders, e ai guadagni vertiginosi di Amazon o del settore elettronico, vi sono schiere di lavoratori sfruttati di cui non va più di moda parlare. Al contempo i piccoli commercianti sono costretti alla chiusura, mentre i proprietari dei locali commerciali e delle abitazioni percepiscono impassibili l’affitto ad ogni scadenza (salvo rare e generose eccezioni in cui i locatori rifiutano i pagamenti). Stessa cosa per i gestori dei servizi essenziali, lontani dal proporre una riduzione delle tariffe, oppure l’esonero dalla riscossione delle bollette di luce e gas per una o due mensilità.

L’ingiustizia sociale genera scintille che prima o poi trovano qualcosa da infiammare, e non basta chiudere gli occhi per fare finta di non vedere cosa accade intorno a noi. Il reddito andrebbe ridistribuito, così da eliminare il divario esistente tra chi vede moltiplicarsi di giorno in giorno i ricavi grazie al persistere del virus, e coloro che al contrario aprono le loro attività al pubblico di tanto in tanto (a singhiozzo).

Paragonare il reddito dei lavoratori della cultura con gli introiti delle compagnie di telefonia mobile, o dei produttori di tablet e accessori utili per la navigazione in rete, è sufficiente per comprendere i termini di una disparità che nega qualsiasi azione solidale: il Covid discrimina al pari del sistema economico capitalista.

Mai come oggi è necessario radunarsi intorno ai valori solidali, alle idee, e non solo alle lotte per il potere fine a se stesso. È tempo, lo ribadisco, di un sindaco “Sociale” in Sala Rossa.

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