Il fallimento dello Stato

Con la pandemia tutti i partiti più o meno statalisti hanno visto una ghiotta occasione per allargare la già estesa presenza statale e nel famigerato libro del ministro Speranza questo intento è dichiarato esplicitamente, da quanto si evince da un trafiletto diffuso sui mass media. Il ministro auspica che questo ritorno prepotente dello Stato nel centro della scena possa rinverdire i fasti della sinistra. È evidente che la gestione della crisi sanitaria abbia allargato la già strabordante presenza statale nella vita dei cittadini, ma ciò che ne è risultato sia stato uno bene è tutto da dimostrare. Finora, con tutta l’indulgenza che si può mettere, è evidente che ci sia stato più di qualche problema nella gestione della pandemia. Non bisogna nascondere che per il passato governo il virus sia stato un toccasana per evitare una crisi di governo e bypassare una manovra finanziaria che in altri tempi sarebbe stata “lacrime e sangue”. L’Italia con il suo sistema sanitario pubblico ha avuto un’elevata percentuale di morti rispetto ad altre nazioni e ciò non è semplicemente spiegabile con una popolazione particolarmente vecchia e inurbata. Per esempio, il Brasile aveva qualche giorno fa circa 336.947 di morti di Covid su una popolazione di circa 213 milioni, che implica un indice di mortalità più basso di quello italiano. Dai media, il Brasile viene considerato un disastro nella gestione della pandemia, ma la mortalità è inferiore a quella italiana che si vanta di essere una potenza industriale con un ottimo sistema sanitario pubblico. Tutto questo Stato non sembra cha faccia tanto bene, sicuramente soddisfa l’ego dei politici e il portafoglio dei tanti fornitori della macchina statale, ma per i cittadini non sembra un bel risultato. Senza considerare che le chiusure generalizzate e i tanti provvedimenti incongruenti del governo italiano hanno causato seri danni all’economia italiana e in alcuni settori il danno non sarà più riparabile. Come evidenziato in altri articoli nei provvedimenti presi dal governo italiano c’è un surplus ideologico, che fa in modo che i provvedimenti abbiamo anche un effetto punitivo nei confronti dei cittadini.

L’unica soluzione attualmente che si è prospettata all’orizzonte per risolvere la pandemia è il vaccino che è stato inventato e prodotto da case farmaceutiche private. Certo il tanto criticato Trump ha generosamente finanziato le imprese private con soldi pubblici, ma di fronte a una simile emergenza anche in assenza di Stato non sarebbero mancati i soldi per la ricerca. Tutte quelle industrie danneggiate dal Covid come vettori aerei, catene alberghiere e di ristorazione, industrie automobilistiche, ecc. di fronte al calo di fatturato non avrebbero certo lesinato fondi per una possibile soluzione sanitaria che li avrebbe salvati dalla bancarotta. Spesso o quasi sempre l’intervento dello Stato va sostituire quello del privato e non ad aggiungersi. Quando da qualche parte esiste un intervento economico dello Stato per prima cosa bisogna chiedersi quanto quell’intervento ha fatto venir meno quello privato. Per come è la situazione attuale in Italia è evidente la mancanza di efficienza della macchina statale anche in un frangente come quello attuale in cui l’azione pubblica è potuta procedere senza nessun controllo né formale né sostanziale. Se neanche con i “pieni poteri” lo stato italiano è riuscito a funzionare decentemente cosa si può sperare in una situazione normale, in cui il normale sistema di pesi e contrappesi impone controlli e verifiche?

Nell’attuale situazione dobbiamo ringraziare la tanto bistrattata “Big Pharma” che sta producendo i vaccini e il libero mercato che ci ha portato a casa tutti una serie di servizi, dalla spesa, dal lavoro per chi ha potuto lavorare in telelavoro, all’intrattenimento, al cibo da asporto e così via.

Sarebbe ora di rendersi conto che più Stato significa meno libertà e più sprechi economici. Sui secondi si potrebbe anche transigere, ma sulla riduzione delle libertà non è possibile perché è il bene più grande che ha l’essere umano.

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