Pagheremo caro, pagheremo tutto

Denatalità, insicurezza economica, precarietà sono questioni strettamente correlate tra loro ma in tanti, troppi fanno finta di non vedere il nesso. Soprattutto nel fronte imprenditoriale il cui problema principale resta l’ossessione del blocco dei licenziamenti. Lo dice chiaramente il presidente del Consiglio nel suo intervento agli Stati Generali della Natalità: “Le ragioni per la scarsa natalità sono in parte economiche. Esiste infatti una relazione diretta tra il numero delle nascite e la crescita economica. Tuttavia anche nelle società che crescono più della nostra, la natalità è in calo. Questo indica come il problema sia più profondo e abbia a che fare con la mancanza di sicurezza e stabilità. Per decidere di avere figli (…) i giovani hanno bisogno di tre cose: di un lavoro certo, una casa e un sistema di welfare e servizi per l’infanzia. (…) i giovani fanno fatica, molta fatica a trovare la. Quando ci riescono, devono spesso rassegnarsi alla precarietà, quindi non c’è sicurezza”

Visto il contesto in cui il discorso è stato pronunciato verrebbe da dire sante parole! Ma soprattutto si potrebbe chiudere l’articolo qui e chiedere a chi deve operare in questo senso, di farlo. Eppure dal fronte imprenditoriale, non sempre arrivano segnali incoraggianti a una loro responsabilità sociale, non solo dell’impresa, ma verso la società e il Paese e il suo rilancio complessivo.

Insomma, bisogna spostarsi dalla centralità dell’impresa alla centralità della persona, giovani e donne in primis, del nucleo famigliare nelle varie accezioni e il loro benessere come elemento di crescita economica del Paese.

La precarietà e il lavoro autonomo con i milioni di partite iva sono diventate un limite alla crescita del Paese e non più una risorsa.

L’Italia è il secondo Paese europeo dopo la Grecia con il più alto numero di partite Iva, che tra l’altro sono molto più diffuse nei paesi del sud Europa rispetto a quelli nordici, Germania in primis, paesi che sovente guardiamo come modello da imitare ma mai per vedere fino in fondo i nostri errori. Siamo un Paese che rivendica il piccolo è bello, sapendo che la pmi, così diffusa, è un limite alla crescita. Non a caso la forza tedesca è data dalla grande impresa e dalle multinazionali. Mettersi in proprio, fai da te che è bello, prendi la partita iva che sei più libero ma lavori come un lavoratore a tempo indeterminato, sempre con lo stesso imprenditore e con nessun rischio per lui ma tutti a carico del lavoratore autonomo: tutto ciò non serve più alla crescita del Paese.

Non sto parlando di diritti trasformando il problema in un dibattito fatto di luoghi comuni e ideologico. Sto dicendo che senza un cambio di passo culturale nel modo di creare lavoro, i giovani e le donne, né costruiranno una famiglia, né penseranno di procreare perché non ne sussistono le condizioni economiche. Ma riempiremo le pagine dei giornali di interviste ai soliti presidenti di Confindustria nostrani.

Gli imprenditori dicono che il sindacato sbaglia a ostinarsi sul blocco dei licenziamenti e forse non hanno tutti i torti, ma loro parlano sempre di politiche attive e ammortizzatori sociali che tradotto significa: “abbiamo bisogno degli strumenti per poter licenziare e affidare a qualcun altro (Stato, Agenzie di ricollocazione) il reinserimento del lavoratore licenziato”. Perché dietro il linguaggio politicamente corretto, “venendo alla ciccia”, c’è poi questo pensiero diffuso nella base imprenditoriale.

Basterebbe che anche le imprese avessero il coraggio di dire che hanno usufruito largamente e oltremisura della precarietà ormai diffusa nel mercato del lavoro, perché qualsiasi azienda con un 10% di flessibilità sui livelli occupazionali gestisce tranquillamente i picchi produttivi mentre ormai la flessibilità arriva anche a punte del 30% di lavoratori a tempo determinato. Forse anche nella contrattazione bisognerebbe tornare a contrattare questi limiti per abbattere la precarietà.

Il lavoro stabile contribuisce a costruire una solidità economica che permette di costruire nuclei famigliari solidi sono le basi per stimolare la natalità con un orizzonte più certo e solido. Bisogna però passare dalle parole, anche belle ma inconcludenti e/o false, ai fatti concreti e sarebbe opportuno che in tutto questo si rivedesse anche il sistema scolastico rivalorizzando gli istituti professionali e tecnici ricreando una cultura del lavoro in cui la professionalità manuale è un valore e può creare percorsi occupazionali e solidità economica per i giovani. Negli ultimi decenni si è demonizzato il lavoro dipendente, a destra come a sinistra, con il risultato che l’individualismo dilagante è diventato una solida cultura prevalente nelle teste di molti ma l’economia e il rilancio del Paese vanno da un’altra parte. E nemmeno il Pnrr che richiede, invece, un gigantesco sforzo collettivo, in tempi brevi e con scadenze certe, di tutte le forze politiche, sociali e economiche rischia di non superare questa cultura. Allora vale il vecchio slogan dell’estrema sinistra con un significato diverso dai tempi andati: pagherete caro, pagherete tutto… Declinato: pagheremo caro, pagheremo tutto!

print_icon