2 GIUGNO

Una repubblica sulla Carta

In 75 anni di regime democratico l'Italia ne ha passate davvero tante, eppure è grazie alla bistrattata Costituzione se è riuscita ogni volta a risollevarsi e ripartire. Come deve fare oggi dopo la guerra alla pandemia. Un excursus tra storia e attualità con il professor Cavino

Una virgola. Sì, c’è anche una virgola, con le discussioni se e dove metterla quando si è trattato di scrivere il primo articolo della Costituzione, nella storia della Repubblica Italiana che oggi compie 75 anni. “Una storia che è la storia di un successo”, come se ne dice convinto Massimo Cavino che la Carta studia e insegna da anni all’Università del Piemonte Orientale dov’è professore ordinario e che proprio alla legge fondamentale dello Stato quel successo attribuisce per la gran parte. “L’Italia grazie alla Costituzione è riuscita a ripartire dopo la guerra e a diventare un Paese di capitalismo maturo con conflitti sociali che, ancora una volta, la Carta ha permesso di gestire democraticamente anche nelle stagioni più difficili”. Gli anni bui della notte della Repubblica con le stragi impunite, gli anni di piombo, la stagione in cui la mafia alzò più di sempre la testa e i suoi attacchi allo Stato. “Anche e soprattutto in quei periodi drammatici e difficilissimi la Costuituzione ha garantito una dimensione democratica dello Stato”. E poi Tangentopoli, la fine della Prima Repubblica e il complicato e non sempre apprezzabile passaggio alla Seconda con “la sopravvivenza della Carta ai partiti che l’avevano scritta”. Quando anche una virgola meritava riflessioni, financo un dibattito profondo. Preistoria che alimenta una sincera nostalgia rispetto ai twiit o agli slogan, per non dire del lessico politico attuale. 

“Tutti conoscono la prima riga dell’articolo 1 della Costituzione: L’italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro, ma i costituenti si affaticarono per decidere di quella virgola. Poi la misero al punto giusto, perché l’intento era specificare che la democraticità è un elemento essenziale che va addirittura oltre il fondamento della Repubblica. E, poi, anche evitare di dare una lettura troppo socialista”.

Nasce il 2 giugno del ’46 con il referendum che si trascinerà a lungo la narrazione sulla sua regolarità, la Repubblica, ma cresce, di fatto sboccia nel dicembre dell’anno dopo con la promulgazione della Carta. Una Carta di identità, vien da dire, che due terzi di secolo dopo resta più valida che mai, anche se aggiornata più volte, difesa da presunti attacchi, spesso impugnata come una bandiera non di unità ma di parte, citata non poche volte a sproposito, ma sempre e comunque solidissimo riferimento in stagioni difficili e imprescindibile, unico, riferimento per la Repubblica, sia pure declinata in sue versioni cronologiche dettate dai mutamenti della politica.

“Purtroppo manca la diffusa percezione di quanto la stagione costituente sia stato un grandissimo progetto di fiducia verso il futuro. In un’Italia che era un cumulo di macerie – ricorda il costituzionalista – fu scritto che doveva esserci una scuola obbligatoria, gratuita e aperta a tutti. Un’apertura di credito straordinaria e con un grande afflato di ottimismo, che invece manca oggi e che rende difficile comprendere il senso profondo, rispetto al futuro, della Costituzione”.

Guadare indietro, a più di settant’anni fa, può far male oggi. “Oggi i giovani dicono: il nostro futuro è incerto. Ma cosa c’era di più incerto del futuro di un Paese che usciva dalla guerra, in macerie. Il futuro è sempre incerto, ma importante è la voglia di scriverlo”. Lo si fece allora, quando anche la scelta referendaria per decidere tra Monarchia e Repubblica non fu facile, con l’alternativa della scelta parlamentare e con forti pressioni straniere, inglesi e americane soprattutto, che sarebbero continuate negli anni condizionando, nel bene e nel male, la storia del Paese.

“Il referendum fu una scelta che diede un imprimatur costituente. Quando spieghiamo cos’è il potere costituente diciamo che è il potere di stabilire le forme dello Stato senza alcun tipo di limite – osserva Cavino –. In realtà l’Assemblea Costituente un limite ce l’aveva ed era la forma repubblicana del Paese, stabilita con il referendum del 2 giugno”. Un voto che spaccò l’Italia anche nella sua geografia, con il Sud più monarchico del Nord dove “Torino e il Piemonte non tanto per aver perso la capitale del Regno, quanto piuttosto per essere diventati terre dell’industria e della sua rivoluzione che mutò la società, avrebbero dato un fortissimo apporto di voti e di personalità alla Repubblica e alla immediatamente futura Costituzione”.

Quella che in questo anno e mezzo di pandemia è stata tirata in ballo e pure un po’ strattonata nel conflitto Stato-Regioni per la gestione dell’emergenza sanitaria, con l’articolo V sul banco degli imputati. “In quest’ultimo anno ha mostrato delle carenze, ma sul lato dell’azione dello Stato – spiega Cavino riferendosi alla modifica introdotta giusto vent’anni fa –. L’articolo V ha in sè un meccanismo di attribuzione di responsabilità ai governi territoriali, ha attribuito alle regioni la Sanità, ma dentro quell’articolo ci sono strumenti di correzione come i poteri sostitutivi, che però il Governo non ha utilizzato pur potendo attuare regia nazionale dell’emergenza, che sarebbe stata certamente opportuna. Invece si è preferito distribuire le responsabilità con le Regioni. Ma dire che la colpa è del titolo V è attribuire al guanto colpe della mano”.

Si diceva della Costituzione invocata e difesa, sventolata come bandiera. Mai, negli ultimi tempi, ciò accadde come cinque anni fa di fronte a un altro referendum. “È stato una grande occasione mancata. Per colpa di chi lo aveva proposto, Matteo Renzi, che lo volle trasformare in una sorta di plebiscito su di sé. E per colpa di chi quelle riforme le osteggio per ragioni spesso diverse dal merito. Sarebbe stata l’occasione per mettere ordine anche nel nostro sistema regionale e per una stagione di riforme verso la quale andremo con il freno a mano tirato per molti anni”. Avvicinandosi ai cent’anni della Repubblica.

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